Luciana Riccardi, il coraggio della madre di Ilaria Alpi, oltre umiliazioni e dolore
Luciana e Ilaria Alpi: due vite ancora unite nonostante l'uccisione della giornalista RAI, avvenuta in Somalia nel 1994 e non ancora chiarita dalla magistratura
Luciana e Ilaria Alpi: due vite ancora unite nonostante l'uccisione della giornalista RAI, avvenuta in Somalia nel 1994 e non ancora chiarita dalla magistratura
Sono passati di 28 anni da quando Ilaria Alpi è stata uccisa in un attentato a Mogadiscio assieme al cameraman Miran Hrovatin, mentre seguiva la terribile guerra in Somalia.
Chi per 24 lunghi anni ha cercato ininterrottamente la verità è stata sua madre, Luciana Riccardi Alpi, spirata nella clinica romana Ars Medica, dove era stata ricoverata per alcuni controlli, il 12 giugno del 2018. “Soffriva di cuore – ha detto a Repubblica la sorella, che l’ha assistita fino alla fine – I medici avevano deciso di inserirle un pace maker. Poi tutto è precipitato. Gli acciacchi e i malanni che la tormentavano si sono riaffacciati e in cinque giorni se n’è andata”.
Luciana Riccardi Alpi non ha mai avuto la gioia di vedere trionfare una vera giustizia sulla sorte di sua figlia, ma ha avuto l’immenso merito di sollevare il velo di omertà e di ipocrisia che a lungo ha coperto la tragica morte dei due inviati del Tg3, massacrati da un commando armato che li giustiziò a colpi di kalashnikov.
E dire che le vite di Luciana e Ilaria Alpi erano diventate una cosa sola. Si dice che i figli portino avanti l’esistenza, i sogni e le speranze dei propri genitori, ma nel loro caso le parti si sono invertite. Dopo la morte della giornalista RAI, avvenuta il 20 marzo 1994 in Somalia, sua madre non ha mai smesso di lottare per far emergere la verità, contro i depistaggi e i misteri.
Una verità che tarda ad arrivare, sebbene in molti abbiano dedicato tempo e anni alla ricerca di una giustizia per Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Ci sono stati dei momenti in cui persino Luciana Riccardi Alpi aveva pensato di rinunciare, per via della sua salute e per l’ostilità delle parti coinvolte. Un dolore inestinguibile, che nel 2017 l’aveva portata a fare un passo indietro, come dichiarato pubblicamente all’ANSA:
Con il cuore pieno di amarezza, come cittadina e come madre, ho dovuto assistere alla prova di incapacità data, senza vergogna, per ben ventitré anni dalla Giustizia italiana e dai suoi responsabili, davanti alla spietata esecuzione di mia figlia Ilaria e del suo collega Miran Hrovatin. Al dolore si è aggiunta l’umiliazione di formali ossequi da parte di chi ha operato sistematicamente per occultare la verità e i proventi di traffici illeciti. Da ultimo, dopo la sentenza della Corte d’Appello di Perugia mi ero illusa che i nuovi elementi di prova inducessero la Procura della Repubblica ad agire tempestivamente per evitare nuovi depistaggi e occultamenti.
Ventiquattro lunghissimi anni che hanno portato soprattutto dolore e sfiducia. Ma Luciana e Ilaria Alpi hanno vissuto nella stessa persona, nella tenacia di una madre che non si è mai arresa. Rivediamo le tappe processuali che hanno portato a una situazione che, dopo oltre 24 anni, non sembra mai sbloccarsi definitivamente.
Come ricorda il sito dedicato al caso Ilaria Alpi, l’esito della prima perizia balistica venne svelato nel dicembre del 1994 e ipotizzava un colpo sparato da un fucile probabilmente da lontano, avvalorando la tesi di una rapina. Anche per la seconda perizia balistica del 1996 il colpo era stato sparato da lontano. La famiglia della giornalista si oppose e il magistrato ordinò quindi una superperizia, effettuata da un collegio di consulenti tecnici. Le conclusioni stabilirono che il colpo che aveva raggiunto Ilaria e Miran era stato sparato a bruciapelo. Per i periti si trattò dunque di un’esecuzione.
Il 18 luglio 1998 il sostituto procuratore di Roma formulò la richiesta di rinvio a giudizio a carico del cittadino somalo Omar Hashi Hassan, accusato di concorso in omicidio volontario aggravato. Secondo l’accusa, Hassan sarebbe stato alla guida della Land Rover con a bordo i componenti del commando che uccise i due giornalisti italiani.
Il principale accusatore di Hassan era Ali Abdi, l’autista che aveva accompagnato Ilaria Alpi e Miran Hrovatin dall’aeroporto di Mogadiscio all’hotel Hamana, in prossimità del quale era avvenuto il delitto. La difesa, da parte sua, chiamò a testimoniare due cittadini somali, i quali asserirono che il giorno dell’agguato l’imputato si trovava presso Haji Ali, a duecento chilometri da Mogadiscio, per visitare un familiare gravemente malato. Il 20 luglio 1999 Omar Hashi Hassan fu assolto per non aver commesso il fatto.
Il processo d’Appello per l’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ebbe inizio il 24 ottobre 2000, presso la Corte d’Assise d’Appello di Roma. Il secondo grado di giudizio ribaltò le conclusioni del precedente processo e Omar Hashi Hassan venne ritenuto responsabile del duplice omicidio volontario, con l’aggravante della premeditazione, e condannato all’ergastolo. Ahmed Ali Rage, figura chiave del procedimento a carico di Hassan, si rese irreperibile, mentre Ali Abdi, l’altro testimone dell’accusa, fu ucciso nel giro di un breve periodo di tempo.
La sentenza fu confermata dalla Corte di Cassazione, salvo nella parte in cui riconosceva l’aggravante della premeditazione. Il processo d’appello bis si aprì il 10 maggio 2002 davanti alla corte d’Assise d’Appello di Roma e si concluse con la condanna a 26 anni di reclusione per Hassan, senza la premeditazione.
Nel 2015 il programma tv Chi l’ha visto? rintracciò il principale accusatore di Omar Hashi Hassan, Ahmed Ali Rage, che confessò di essere stato pagato per mentire. Il 3 luglio 2017, la procura di Roma chiese però di archiviare l’inchiesta in quanto risultava impossibile accertare l’identità dei killer e il movente del duplice omicidio. Luciana Riccardi Alpi commentò così all’ANSA:
Non posso tollerare ulteriormente il tormento di un’attesa che non mi è consentita né dall’età né dalla salute. Per questo motivo ho deciso di astenermi d’ora in avanti dal frequentare uffici giudiziari e dal promuovere nuove iniziative. Non verrà però meno la mia vigilanza contro ogni altro tentativo di occultamento. Ringrazio i colleghi di Ilaria, la Federazione Nazionale della Stampa e l’opinione pubblica per essermi stati vicini.
Da sempre difeso dalla famiglia Alpi, Omar Hashi Hassan è tornato in libertà solo nel gennaio 2018 e gli è stato assegnato un risarcimento di oltre 3 milioni di euro. Inoltre, nell’aprile 2018 sono emerse nuove prove e intercettazioni, già depositate alla Procura di Roma, che incolperebbero militari italiani. Luciana Riccardi Alpi ha commentato così l’auspicabile riapertura del caso, in un’intervista ripresa dalla Stampa nel marzo 2018:
Da 23 anni mi batto con delusioni, con amarezze … Ed ero stanca. Volevo leggere queste motivazioni per decidere. E quando le ho lette non ho potuto più ritirarmi. Non posso ritirarmi con delle motivazioni simili perché farei un torto a mia figlia e a Miran. E allora vado avanti. Finché la salute me lo consente.
In gallery abbiamo ripercorso la storia tragica della giornalista uccisa.
Ilaria Alpi nacque a Roma il 24 maggio 1961. Dopo il diploma al Liceo Tito Lucrezio Caro di Roma iniziò subito a lavorare come giornalista, mentre studiava alla facoltà di Lingue. Grazie alla conoscenza di arabo, francese e inglese, dopo la laurea ottenne le prime collaborazioni giornalistiche dal Cairo per conto di Paese Sera e de L‘Unità. In seguito vinse una borsa di studio alla Rai.
Ilaria Alpi giunse per la prima volta in Somalia nel dicembre 1992 per seguire, come inviata del TG3, la missione di pace Restore Hope, coordinata e promossa dalle Nazioni Unite per porre fine alla guerra civile scoppiata nel 1991. Le inchieste di Ilaria Alpi si spinsero poi su un possibile traffico di armi e di rifiuti tossici che avrebbe visto, tra l’altro, la complicità dei servizi segreti italiani e di alte istituzioni italiane.
Dopo essere stati fermati da un commando di sette uomini, Ilaria Alpi e il cameraman Miran Hrovatin furono uccisi con diversi colpi di kalashnikov il 20 marzo 1994, in prossimità dell’ambasciata italiana a Mogadiscio. Sul luogo dell’agguato, come documentato dalle immagini girate dall’operatore della tv americana ABC, era presente l’imprenditore italiano Giancarlo Marocchino, che a caldo dichiarò: “Non è stata una rapina. Si vede che sono andati in certi posti che non dovevano andare” (dal sito www.ilariaalpi.it). Durante il rimpatrio delle salme in Italia furono aperti i sigilli dei bagagli e scomparvero le registrazioni e gli appunti dei giornalisti.
“Era curiosa, aperta, umana. Molto diretta. Non correva dietro la carriera, le interessava solo fare bene il proprio lavoro. Aveva voglia di divulgare un mondo che aveva già conosciuto come studentessa. Le dispiaceva non poter fare inchieste in Rai, anche se era contenta di aver vinto il concorso, che chiamava il ‘concorso di mamma’, perché era stata la madre Luciana a trovarlo. Stava pensando che fosse meglio lasciare l’Italia: le sarebbe piaciuto lavorare all’estero, il suo sogno era fare la corrispondente dal Medioriente”. Così l’aveva descritta Rita Del Prete, collega e amica di Ilaria Alpi, in un’intervista a Vanity Fair. E proprio sua madre Luciana Riccardi Alpi ha continuato a lottare per la figlia, anche se lontano dai tribunali.
“È morto mio marito. È morta anche Jamila, la gattina che Ilaria aveva raccolto in mezzo alla strada. Ormai mi trattano come una vecchia mamma rompiscatole in preda all’Alzheimer, ma non mi arrendo. Continuerò a combattere per la verità. Cos’altro potrei fare?”: così aveva detto Luciana Riccardi Alpi in un’intervista alla Stampa nel 2014.
Alla fine, anche Luciana Riccardi Alpi se n’è andata. Affetta da alcune patologie che si sono aggravate, è morta il 12 giugno 2018 nella clinica romana Ars Medica.
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