I racconti dalla Marcia della Morte che ne uccise 15.000 e non nascose nulla
La Marcia della Morte fu l'ultima carneficina compiuta dalle SS ai danni dei prigionieri dei lager: qui abbiamo raccolto alcune delle testimonianze più dolorose.
La Marcia della Morte fu l'ultima carneficina compiuta dalle SS ai danni dei prigionieri dei lager: qui abbiamo raccolto alcune delle testimonianze più dolorose.
Fra gli orrori della Seconda Guerra Mondiale figurano senza ombra di dubbio anche le Marce della Morte, organizzate dagli ufficiali nazisti fra il 1944 e il 1945 quando, con l’Armata Rossa ormai alle porte a est, e gli Alleati a ovest, i seguaci del Führer tentarono di spostare i prigionieri dei campi di concentramento cancellando le prove delle proprie atrocità.
Le più “famose” Todesmärsche – il termine tedesco per indicare queste marce – furono quelle tra: Flossenbürg e Ratisbona di 380 chilometri, Berga e Plauen di 275 chilometri, Neuengamme e Sandbostel di 345 chilometri. Ma anche il più noto lager nazista, Auschwitz-Birkenau, fu evacuato, proprio all’approssimarsi dell’esercito sovietico in territorio polacco.
Tutto comincia il 17 gennaio del 1945, quando i gerarchi nazisti che comandano nel campo decidono di far affrontare una lunga marcia ai prigionieri, affrontando il gelido inverno polacco. In tutto il campo, e i sottocampi di Babitz, Budy e Plawny contano 31.894 prigionieri. Tutti rispondono all’appello, anche donne, bambini e malati, perché fermamente convinti che restando nel campo avrebbero firmato la propria condanna a morte, venendo fucilati dai nazisti in fuga.
Fu il comandante del campo di Auschwitz, l’SS-Sturmbahnfuhrer Richard Baer, a organizzare le colonne degli internati, scegliendo come responsabili dell’evacuazione due tra i più feroci e sanguinari ufficiali del lager: l’SS-oberscharfuhrer Wilhelm Boger e il suo vice, Oswald Kaduk. L’ordine perentorio era di uccidere tutti i prigionieri che avessero tentato la fuga durante l’evacuazione.
Il giorno dopo, il 18 gennaio, la marcia comincia: prima ci sono le colonne formate da donne e bambini, poi gli uomini, mentre delle squadre di prigionieri scelti chiaramente dalle SS restano per demolire i forni crematori, in un tentativo disperato di far “sparire” le prove di quella mattanza. A sera si aggiunge al gruppo anche la colonna composta dagli internati del campo di lavoro di Monowice, mentre la marcia va in direzione della Slesia, per lo smistamento successivo tramite ferrovia. Solo nelle prime ore della marcia muoiono in 172, sepolti molto grossolanamente in fosse comuni ai margini della strada; gli altri prigionieri, esausti, si trascinano pesantemente nella neve, chi si ferma viene freddato sul posto dalla scorta delle SS. Dopo aver resistito a lungo nei campi di sterminio, si calcola che solo nell’area di Auschwitz morirono nei primi giorni di evacuzione più di 3000 persone.
9000 erano però anche le persone rimaste internate ad Auschwitz e Birkenau, e i tedeschi avevano intenzione di eliminarne più che potevano, prima che l’esercito sovietico entrasse nei lager; come detto, gli ufficiali SS volevano distruggere le prove della carneficina compiuta, e il 20 gennaio avevano cominciato la loro opera di cancellazione facendo saltare in aria i forni crematori II e III, proseguita poi sei giorni più tardi con il forno V, ancora operativo. Dopodiché passarono ai magazzini dove erano stoccati i beni che erano stati requisiti ai passeggeri, i Kanada II.
Solamente la fretta salvò la maggior parte dei prigionieri rimasti nel campo, con l’eccezione di circa 700 prigionieri ebrei uccisi nei sottocampi a poche ore di distanza dall’arrivo dei soldati dell’Armata Rossa, il 27 gennaio 1945.
I tedeschi uccisero un grande numero di prigionieri prima, durante e dopo le marce della morte. Il capo delle SS Heinrich Himmler aveva esplicitamente chiesto che non un solo deportato doveva cadere vivo nelle mani degli Alleati, ovviamente per cancellare testimoni inopportuni. 700, su un totale di 7000 (di cui 6000 donne) vennero uccisi durante una marcia di dieci giorni, partita da alcuni campi nella regione di Danzica e, una volta raggiunto il mar Baltico i prigionieri sopravvissuti vennero spinti verso il mare, per essere uccisi.
L’ultimo progetto di sterminio prevedeva di caricare tutti i deportati su navi come il Cap Arcona, il Thielbek, l’Athen e il Deutschland, ancorate nella baia di Lubecca, affondandole poi una volta al largo. Non andò secondo i piani tedeschi, ma da lì a poco ci sarebbe comunque stata la più grande sciagura avvenuta nella storia dei mari: una volta imbarcati i prigionieri, infatti, il 3 maggio 1945 ci fu un forte bombardamento inglese, che mieté moltissime vittime: dei 4.500 prigionieri sul Cap Arcona si contarono appena 316 superstiti, dei 2.800 del Thielbek solo 50. Quelli dell’Athen riuscirono per fortuna a salvarsi tutti. Ma nel raid aereo perirono, in meno di mezz’ora, 7.500 prigionieri dei lager nazisti di 28 nazionalità diverse.
I testimoni di cui Himmler aveva paura, però, ci furono eccome, e furono in grado di raccontare esplicitamente cosa avvenne durante le Marce della Morte e in generale nei lager: Primo Levi, ad esempio, sfuggì a una Todesmärsche solo per via di un fortuito ricovero in ospedale; Liliana Segre, oggi senatrice a vita, fu liberata proprio mentre ne stava compiendo una.
Molte altre persone, come lei, riuscirono a trovare la libertà nonostante tutto, e negli anni hanno dato voce a un capitolo davvero oscuro e terribile nella storia dell’umanità, raccontando quanto avevano vissuto nei lager e durante le terribili marce.
Sfogliate la gallery per conoscere alcuni di loro.
Lilly ha raccontato la sua storia qui ; nata nel 1928 ad Anversa, in Belgio, dopo l’arresto di sua madre, sua sorella e suo fratello, Lilly si nascose e prese un nome non ebreo, riuscendo a stare al sicuro fino al 1944, quando alcuni vicini la denunciarono; i tedeschi la deportarono nel centro di sterminio di Auschwitz-Birkenau attraverso il campo di transito di Malines. È stata liberata dalle forze britanniche a Bergen-Belsen, dove era arrivata dopo una marcia della morte partita da Auschwitz.
Dopo l’occupazione di Vilnius, nel 1941, Lily fu costretta a trasferirsi nel ghetto, dove lavorò fino alla liquidazione del ghetto stesso, nel 1943. Venne quindi deportata nel campo di Kaiserwald, vicino a Riga, in Lettonia, e da lì spedita a lavorare nel campo di Duenawerke, principalmente destinato ai lavori forzati. Venne liberata nel 1945 durante una marcia della morte che terminò a Krumau, una città nella Prussia Orientale.
L’unico modo che avevamo per salvarci era stare davanti – ha raccontato – perché chi stava dietro veniva ucciso. […] Eravamo congelate, c’erano madri che cadevano con la faccia a terra. Una mia amica aveva le gambe congelate, i soldati fecero fermare la colonna e le spararono.
Sam fu salvato dalle forze alleate dopo che era riuscito a scappare approfittando di un bombardamento.
Potevo solo camminare. Nevicava sempre, noi dovevamo dormire fuori e potevamo solo cercare di restare vivi. Sentivo gli aerei passare sopra di noi, io speravo e pregavo ‘Forza, sganciate, colpiteci!’
Barbara e la sua famiglia vennero traferiti nel ghetto di Oradea, dove lei lavorò nell’ospedale prima della deportazione ad Auschwitz; anche qui, fu impiegata nelle cucine, riuscendo a procurarsi regolarmente del cibo extra. Venne obbligata a unirsi a una marcia della morte, fino a quando, verso la fine della guerra, non venne liberata dalla Croce Rossa.
Durante la notte sentivamo ogni tipo di rumore, aeroplani, spari… Ci dicevano che i russi si stavano avvicinando. Ci hanno fatto evacuare il lager […] e dall’inizio di febbraio alla fine di aprile abbiamo marciato, a piedi, in treno, mangiando foglie e senza acqua per bere o per lavarci.
Il vincitore del Premio Nobel per la pace nel 1986, fu costretto insieme al padre, Shlomo, a marciare da Auschwitz a Buchenwald. La storia di questa tragica esperienza è descritta nel suo racconto del 1958, La notte.
Lo scrittore francese morì il 14 aprile 1945 durante una marcia della morte dalla prigione di Fuhlsbüttel verso Kiel.
Oggi senatrice a vita, nominata da Sergio Mattarella, Liliana Segre venne internata a 13 anni ad Auschwitz, e liberata l’anno successivo mentre percorreva la marcia della morte; la sua storia è raccontata nel libro La memoria rende liberi, scritto con Enrico Mentana.
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