*** Aggiornamento del 21 maggio 2021 ***
“Sto in lockdown da quando è morta Loredana”. Marco Giallini ha definito così la sua vita senza la moglie, venuta a mancare tra le sue braccia nel 2011 a causa di un’emorragia cerebrale, in un’intervista a ruota libera per il Corriere; l’attore, protagonista di Rocco Schiavone, si è aperto spesso sul lutto che lo ha colpito dieci anni fa, come vi abbiamo raccontato anche nell’articolo originale, che segue.
Dopo la morte di Loredana, sposata nel 1993 ma conosciuta anni prima, ha dovuto crescere da solo i figli, Rocco e Diego, ha acquisito nuove consapevolezze sulla vita, non amare, ma realistiche.
Il pensiero che lei rientri a casa da un momento all’altro dura due anni, poi, capisci che morire è prassi. Non a 40 anni. Non fra le mie braccia, mentre prendiamo le valigie per le vacanze. Ma non sono l’unico a cui è successo. Fare a meno è questione di testa, anche fare a meno delle menti dei bimbi non più chiare, del loro pensiero: vorresti sapere che pensano il giorno della festa della mamma o quando spegni la tv e quello, a 5 anni, strilla: mamma mamma.
Il dolore non passa, assicura Giallini, “ti dimentichi un po’ la voce”; confessa di parlare ancora con lei – “Quando sto solo e qualcosa non va. Dico: Eh amore mio…” – e di non essersi mai più innamorato.
Ma di chi? Ma perché? Innamorato ero di mia moglie. Per 27 anni, non ci siamo mai lasciati e non abbiamo mai litigato. Lei era la donna mia e io il suo uomo. Nel mondo, quante ce ne possono stare di persone per te? Una.
Una dichiarazione d’amore da brividi, che fa capire quanto ancora sia forte il legame che unisce Giallini a Loredana. L’interprete non ha mai nascosto nulla di se stesso e dei propri sentimenti, neppure di piangere, spesso.
Come tutti, come i veri duri. Perché lo sono. Se no, sarei morto.
*** Articolo originale del 5 aprile 2018 ***
Marco Giallini è uno degli attori più apprezzati del panorama cinematografico italiano, tanto che un grande come Ettore Scola, che lo conobbe praticamente agli esordi, lo definì “uno con la faccia da commedia all’italiana”.
Mica male come complimento, se si pensa ai capolavori che il filone ha regalato alla cultura del nostro paese dal dopoguerra in poi, da I nuovi mostri fino a Divorzio all’italiana, passando per le centinaia di altri titoli che hanno dato lustro e gloria al genere.
In effetti il regista di C’eravamo tanto amati ha dimostrato, con il Giallo – com’è soprannominato fin da ragazzino l’attore romano – di avere buon occhio e un discreto spirito di osservazione, tanto che Marco ha preso parte a qualcosa come quaranta film nell’ultimo ventennio.
Tre quelli in programmazione nel solo 2020, Villetta con ospiti, di Ivano De Matteo, Ritorno al crimine, di Massimiliano Bruno e È per il tuo bene, di Rolando Ravello.
Ma nello sguardo sornione e affascinante dell’attore che, ancora oggi, dichiara di non sopportare il centro di Roma e di vivere in campagna, e confessa che il soprannome affibbiatogli dagli amici è “Dottor Divago” – “Inizio un discorso, lo apro, mi entusiasmo, non lo chiudo e poi, con la stessa frenesia, cambio argomento. Sono sempre stato curioso” – emerge ancora, in profondità, il dolore per la perdita della moglie, Loredana. Scomparsa nel 2011 per un’emorragia cerebrale che non le ha lasciato scampo, uccisa dal male senza che lui avesse il tempo di salutarla.
A distanza di sette anni da quel lutto che ha sconvolto la sua vita, Giallini nel 2018 si è aperto con Vanity Fair parlando senza timori né imbarazzi di quel dolore ancora vivido in lui. Abbiamo raccolto le sue parole nella nostra gallery.
Quel giorno di luglio in cui se n'è andata
In un’intervista rilasciata a Vanity Fair nel 2011, Marco Giallini spiegò come aveva perso Loredana, sua moglie da 25 anni.
Da un paio di giorni aveva un fortissimo mal di testa, ma vai a pensare… Lei e i bambini stavano per partire per il mare, sarebbero rimasti in vacanza un paio di mesi. Invece, ha chiuso gli occhi e mi si è accasciata fra le braccia mentre chiacchieravamo. Io le parlavo all’orecchio, ma mi sono accorto che parlavo da solo, e ho maledetto Dio. Ha vissuto altri due giorni, ma senza riprendere conoscenza. Se non lo provi non lo puoi capire.
Si erano conosciuti giovanissimi
Ancora a Vanity Fair, Marco ha raccontato di aver conosciuto Loredana quando scaricava le bibite, uno dei tanti lavori, assieme all’imbianchino, che ha fatto da giovane.
Avevo appena finito il militare e facevo il ‘bibitaro’, portavo le bibite con il camion. Con le ragazze non ero capace, però andavo in moto e questo piaceva. Loredana mi è stata dietro tre anni. Finché una sera, fuori dalla discoteca, le ho detto: ‘Allora mettiamoci insieme’. È durata 25 anni.
E aggiunge che non era gelosa.
Io sono affidabile, eravamo legatissimi. Lei faceva gli gnocchi, i ravioli a mano. E io tornavo sempre a casa. Era mia madre, mia moglie, tutto.
Anche se si vergognava della sua figura pubblica…
Quando l’autista la portava a un’anteprima, scendeva 50 metri prima perché si vergognava.
Non ho potuto dirle nemmeno ciao
La sua morte è un evento che né io né i miei figli abbiamo mai metabolizzato. Non ne abbiamo mai parlato. Non siamo mai andati al cimitero insieme, anzi, in 7 anni, al cimitero sono andato due volte in tutto. Le fotografie le ho a casa, ma non le guardo, non è roba per me perché lei è ovunque, nei ricordi, nelle stanze, nei viaggi a Barcellona che non farò più. Ho un fratello che ha qualche problema. Un altro che non c’è più. La vita mi ha colpito, ma raccontarlo mi sembra inutile.
Un uomo semplice
Marco Giallini è una persona semplice, che a Vanity Fair ha raccontato quanto odiasse fare i provini, tanto che descrive così la prima volta, al Teatro Argentina con Arnoldo Foà.
Arrivai con una Thunderbolt pagata con le cambiali, parcheggiai, entrai e vedendolo seduto in terza fila, con la pipa in bocca e il giornale sulle ginocchia, mi sentii avvampare di inadeguatezza e di vergogna. Volevo sparire, a qualsiasi costo. Mi sarei buttato a pesce sulla folla, a corpo morto, come Iggy Pop. Foà disse: ‘Prego, è venuto per la parte?’, e io risposi mentendo: ‘Sì, ma non l’ho imparata a memoria’.
Volevo soltanto fuggire. Foà mi guardò con disapprovazione: ‘È una grave mancanza di rispetto’, disse. Io tornai a casa e per miracolo tre giorni dopo mi ritelefonarono. ‘Devi tornare. Mi prese un colpo’.
Ricorda il papà e la mamma come persone piene di dignità – “A mamma dicevano: ‘Guarda che Antonio ti tradisce’. Lei se ne fotteva. Usciva con il suo tacco rosso e la gonna sopra il ginocchio, attraversava la borgata fieramente e ad abbassare gli occhi erano sempre gli altri“- e di se stesso dice:
A me i David non li danno. Ovviamente mi dispiace, ma non ne faccio un dramma. Evidentemente non sono di moda, ma non ambisco ad esserlo.
Cosa ne pensi?