L’addio al nubilato di Chiara Ferragni, oltre alle tante foto social dei tre giorni a Ibiza della fashion blogger sotto l’hashtag #ChiaraTakesIbiza, ci ha inaspettatamente lasciato anche uno spunto di riflessione piuttosto interessante, soprattutto dopo che uno sfortunato (e successivamente corretto) titolo del Corriere aveva narrato la cronaca dell’evento definendo “rotonde e felici” le amiche di Chiara. Che, peraltro, erano obiettivamente snelle e toniche, ma che anche fossero state “rotonde” non avrebbero fornito una giustificazione al fatto di essere appellate solo in virtù della loro fisicità.
Certamente la gaffe di uno dei più prestigiosi quotidiani nazionali, con tanto di marcia indietro seguita alle proteste della stessa Ferragni, ha posto nuovamente l’accento su una questione che da sempre interessa le donne e il rapporto con la loro autostima; perché, se già è piuttosto difficile accettare il proprio corpo, soprattutto per il costante paragone con modelli estetici praticamente perfetti o quasi, aumentato a dismisura dai social (come se già riviste e cartelloni pubblicitari non fossero sufficienti), certamente il compito si fa ancora più complicato se c’è qualcuno pronto a definirci “rotonde”, “non in forma” e via dicendo.
Lo scivolone non è passato inosservato proprio su quei social che, fra le tante cose, si sono fatti anche forieri di interessanti lotte a carattere sociale per mettere in risalto argomenti che stanno particolarmente a cuore, specie alle donne, dal diritto di vivere liberamente il periodo del proprio ciclo mestruale fino, appunto, alle crociate contro il bodyshaming di qualsiasi tipo.
Così, girando su Instagram ci è capitato di leggere questo post.
Un post condiviso da Marianna Martino (@maiazandegu) in data:
Abbiamo voluto ascoltare la sua autrice, l’editrice Marianna Martino, affinché ci spiegasse il motivo per cui ha deciso di pubblicare una foto e una didascalia del genere, lanciando l’hashtag #uncorpocheama, diventato presto virale.
Marianna afferma di essere partita proprio dallo sfortunato articolo del Corriere.
Quando ho letto l’articolo del Corriere sono rimasta davvero senza parole. Che una donna debba sempre essere definita a partire dal suo aspetto, e dalla taglia dei jeans in particolare, mi fa inorridire. E così ho pensato: se fossi stata un’amica della Ferragni sarei stata etichettata come tonda? O morbida? O curvy? O flaccida? Così ho comprato un costume intero rosso e mi sono fatta un autoscatto con l’hashtag #uncorpocheama.
Per dire, come recita il suo post, che il suo corpo
[…] è anche un corpo grasso, o troppo magro secondo mia madre, o in perfetta forma o poco atletico o perfetto così.
Insomma, che per nessuno sarai mai perfetto. E che bisognerebbe cercare di esserlo almeno per se stesse. Naturale, quindi, ci viene chiederle se l’esposizione generale sui social in qualche modo costringa necessariamente le persone a “fare i conti col proprio aspetto fisico”, acuendo ancora di più la mancanza di autostima, laddove se ne sia già sprovviste.
La verità? Non lo so – ci confessa candidamente Marianna – Io seguo decine di attrici, modelle e influencer bellissime, ma non mi sento in competizione con loro. Ho l’intelligenza di capire che siamo differenti ed è inutile fare paragoni. E poi loro nelle foto sono sempre perfettamente phonate e truccate. E a volte i loro scatti sono anche ritoccati ad arte. Instagram e i social non sono la vita vera. Però, d’altro canto, magari chi è più fragile, chi non ha gli strumenti per capire la differenza tra online e offline, chi è giovane e pieno di insicurezze, potrebbe rimanere influenzato da questi modelli per certi versi perfetti (che poi: chi lo ha deciso che sono perfetti?) e poco raggiungibili.
Vero, eppure è altrettanto vero che, pur sapendo quanto labili siano i giudizi delle persone, e non sempre caratterizzati dal cosiddetto “gusto soggettivo”, ma talvolta da pura e semplice invidia o cattiveria, sembriamo sempre esserne influenzate. Perché? Perché davvero in fondo il desiderio di ognuno di noi è piacere a tutti, pur sapendo che questo non sia obiettivamente possibile?
Piacere a tutti è impossibile. Forse solo la pizza riesce in questa impresa mitologica – scherza lei – Penso che persino la Coca-Cola fallisca in questo! E spero che tutti siano consci dell’impossibilità di piacere a chiunque. Io ce l’ho molto chiaro. Però di sicuro vogliamo piacere ad alcuni o a molti, a seconda dei casi. Perché siamo animali sociali e viviamo in relazione con gli altri. Tutti i giorni incontriamo persone per lavoro, per svago, per amore. È normale essere influenzati dal pensiero e dal giudizio altrui. Ed è normale voler piacere, sentirsi belli, desiderati. In una parola: amati.
Marianna asserisce di essere una persona con una personalità molto forte, senza insicurezze di sorta. Eppure…
Sul mio aspetto fisico è come se avessi sempre 14 anni e fossi lì davanti allo specchio a vedermi crescere di colpo in modo goffo e sgraziato: troppe tette, troppe gambe, troppi brufoli. Le altre compagne di scuole mega carine e io un cesso. E se al liceo mi giudicavo duramente io per prima, dopo, durante i 20 anni, le opinioni di terzi mi hanno influenzato potentemente e male. Solo di recente sto imparando a volermi bene. Allo specchio oggi mi piaccio e, anche se non ho un corpo da copertina di Vogue, sono felice di come sono, perché il mio corpo mi fa fare tutto quello che voglio: mi fa lavorare, viaggiare, amare, divertire e, come se non bastasse, è il contenitore della mia personalità, che è quella che davvero mi distingue e mi rende bellissima ai miei occhi e a quelli degli altri.
C’è un altro punto però che vogliamo affrontare con Marianna: perché, se da un lato è costante la paura di esporsi, per timore del giudizio, dall’altro i social quasi ci “invitano” a farlo e, anche se non si è personaggi pubblici, tutti vogliamo mostrarci su Instagram o Facebook. Come si può convivere con la paura da un lato e questa sorta di spinta esibizionistica dall’altro?
Io, fino a un anno e mezzo fa, su Instagram non postavo altro che foto di oggetti e cibo, perché pensavo di non avere niente da dire. Poi ho iniziato a metterci la faccia, perché questi ultimi due anni per me sono stati personalmente molto significativi e mi hanno tirato fuori tutta la forza e l’autostima che non pensavo di avere. Mi sentivo più sicura di raccontarmi e ho pensato che il mio punto di vista potesse contare qualcosa: non per le masse ovvio, ma per alcuni sì.
La modella che mostra la cellulite e come le foto perfette sono false (anche senza Photoshop)
Alice Basso, la splendida modella che ha mostrato su Instagram la sua cellulite, ribadisce il suo messaggio: "La vita vera è ben altra cosa rispet...
Oggi non ho più paura di espormi, penso di essere ormai senza vergogna. E sì, certo: mi sento un po’ esibizionista e il consenso non mi fa schifo. A chi fa schifo, poi, a ben vedere? Però la mia politica è questa: se metto uno scatto più intimo o fuori dai miei soliti schemi, lo faccio esclusivamente se ho qualcosa di importante da dire o a cui tengo molto. Sennò mi limito a stare zitta. Penso che online ognuno debba fare come si sente. Se vuoi mettere le foto in costume, fallo. Se ti imbarazza e preferisci mettere solo foto di muffin, avanti tutta!
Secondo me se hai qualcosa da dire di unico, di tuo e di potente, dillo. Mettici la faccia, o una mano, o una torta, ed esponiti. In modo intelligente, gentile e articolato, ma dì la tua. Di questi tempi bui, secondo me ce n’è tanto bisogno.
E a quanto pare, molte ragazze sembrano voler seguire il suo esempio, a giudicare da quante abbiano deciso di metterci il corpo e la faccia, con l’hashtag #uncorpocheama, come vi mostriamo in gallery. A tutte loro va un grazie per aver accettato di farci pubblicare i loro scatti, e per la forza che le loro immagini bellissime trasmettono.
Il mio corpo rotondo e felice
Questo è un corpo rotondo e felice. Ma è anche un corpo grasso, o troppo magro secondo mia madre, o in perfetta forma o poco atletico o perfetto così.
È un corpo poco tonico, con i buchi della cellulite, la ritenzione idrica, i polpacci grossi, i capelli grassi, i peli lunghi e scuri, le orecchie a sventola, gli occhi miopi, il collo lungo, le spalle spioventi, le braccia storte, la schiena con la scoliosi, i baffetti, la fronte grassa, il naso secco, i denti storti, le tettone, i fianchi larghi, la pancia troppo gonfia, il culo piatto. È un corpo ferito, rovinato, sofferente e stanco.
E anche un corpo che cammina, che vive, che ride, che ama, che è in salute, che viaggia, che sogna, che spera, che canta, che vede, che nuota, che ascolta, che graffia, che mangia, che annusa. È un corpo felice, goffo, sexy, bello, pieno. Occhi vivaci, labbra belle, tette che stanno ancora su, gambe lunghe e dritte, faccia carina. È un corpo che sa baciare e abbracciare. Che ama tanto. Che sta imparando ad amarsi. Che ama tanto.
Ecco, quest’estate prendiamo tutta quella merda che vediamo ogni giorno allo specchio e guardiamoci con amore e indulgenza. Non lasciamo che gli altri ci attacchino e incasellino. Noi siamo fantastici così: con la cellulite e la stempiatura, con la panza e i capelli grigi. ‘Fanculo a chi dice il contrario’.
Se vi va, fotografatevi come vi pare (anche vestiti eh? Non è necessario il costume che ricorda le amiche della @chiaraferragni ) e raccontate cosa non amate di voi. E poi dite che cosa amate invece. Vedrete che queste cose contano molto di più.
Elisa: "Fiera di mostrare il mio corpo nascosto troppo a lungo per la malattia"
Un post condiviso da Elisa Davolio Marani (@decorproduzioni) in data:
Questa per me è un’estate importante. La prima in cui sono completamente a mio agio nel mostrare la mia diversità, anzi non solo a mio agio, ma fiera di mostrarla. Erano 3 anni che non indossavo un bikini. 3 anni in cui mostrare la pancia in pubblico mi era impossibile. Oggi mi sembra quasi ridicolo, è incredibile.
Il mio percorso di accettazione è stato davvero lungo. La rettocolite ulcerosa è una malattia invisibile finché non degrada tanto da obbligarti a interventi chirurgici molto invasivi. Io mi sono vergognata per anni, prima della malattia stessa poi delle conseguenze dell’intervento. Il mio corpo per anni è stato il mio personale campo di battaglia, un corpo ammalato che non risponde alle cure diventa un nemico che inizi a detestare. Ci sono molte persone che sanno cosa si prova perché ci convivono ogni giorno, ma la maggior parte delle persone non sa nemmeno cosa siano le malattie croniche intestinali. Oggi, con un lungo lavoro su me stessa e anche grazie a quella simpatica borsetta attaccata alla mia pancia, va tutto molto meglio e finalmente sono tornata in pace.
Il mio #fatticoraggio è per tutte le persone che nascondono la propria diversità, per chi si sente sbagliato, per chi non si specchia completamente negli altri, per chi ha bisogno di vedere che si può fare, che si può essere meravigliosamente diversi.
Quindi, per chi ne ha bisogno, #fatticoraggio baby!
Paola: "Voglio accettarmi per quella che sono!"
Un post condiviso da Paola (@paolacuomo) in data:
Quando sulla home Instagram è spuntata la foto di @maiazandegu mi ha colpito tantissimo e ho apprezzato il suo hashtag #uncorpocheama; dopo invece c’è stata la foto di @maricler: la cui didascalia raccontava di sé e del suo corpo; infine ho scoperto un altro hashtag #kulolibero di @estetistacinica.
In questi giorni si parla tantissimo di body shaming, ovvero il bullismo verso i corpi normali, diversi dalla convenzione che ci impongono i media.
Ho deciso di pubblicare anch’io una foto per dire #nobodyshaming perché un giudizio superficiale dato senza pensare può fare male tanto da condizionare i comportamenti e il linguaggio non verbale.
Io ho odiato il mio corpo fin da piccola, perché ero sempre quella più alta e cicciotella, a soli 6 anni arrivò la prima dieta.
Ormai in me si era innestato la non accettazione del mio corpo: ero magra eppure i miei occhi vedevano una bambina brutta e grassa non accettata dagli amici, dalle maestre e dalla famiglia.
Poi ci fu la mia malattia autoimmune che ha segnato la mia pancia e la mia gamba, venivo derisa e dall’allora non ho più indossato vestisti che scoprissero troppo del mio corpo.
Continuavo ad odiare il mio corpo anche quando le mie curve sono diventate pericolose ed inevitabilmente sono arrivati i disturbi alimentari e la distorsione visiva del mio corpo: troppo alta, troppo formosa, troppe macchie, tutto troppo o troppo poco… Oggi riguardo delle foto di quei momenti e non posso far altro che pensare quanto io ero bella e soprattutto unica.
Oggi il mio corpo è ancora diverso.
Oggi mi amo un po’ di più.
Oggi voglio amarmi tanto da concedermi una foto in costume.
Oggi voglio accettarmi per quella che sono!
Questa foto è per me, per ricordarmi di amarmi
Un post condiviso da @ _thehealthyginger in data:
Questa foto la pubblico per me.
Per tutte le volte in cui sono stata male perché dovevo mettermi in costume, per quelle volte che ho pensato di non meritarmi attenzioni, per quelle volte che mi sono negata di vestirmi in un certo modo o di uscire a cena perché non ero abbastanza magra. Ho sofferto tanto e decidere di combattere contro me stessa è stata la parte più dura di questi 23 anni.
Ho deciso di ascoltarmi, prendermi un attimo di pausa dalla ricerca dell’abs scolpito per ritrovare un attimino me stessa e farci pace. Sono contenta.
Nonostante qualche chiletto in più, sono contenta, e per ora va bene così.
Ciao da me che mi godo la vita in piscina bianca come un fantasmino MA SENZA PARANOIE.
Mariachiara: "Gli unici occhi che contano? I miei"
Un post condiviso da Mariachiara Montera (@maricler) in data:
Qualche giorno fa @maiazandegu ha pubblicato una foto di sé in costume, raccontando cosa ama del proprio corpo, e cosa non ama.
La prima cosa che ho pensato è: non mi metterò mai in costume. O in reggiseno. E mai mostrerò le mie chiappe.
Ha a che fare con quello che odio o che amo del mio corpo? No, ma ha a che fare col modo in cui si è creato il giudizio che porta a mostrarlo o meno, a guardarlo con indulgenza o severità.
Se mostri le chiappe, sei una blogger. Se su Linkedin metti una foto in costume, sei una che ci vuole provare con l’amministratore delegato. Se sei un uomo e ti fai le foto nudo su Instagram, sei un terribile vanesio. E così via.
Nel 2018 noi donne “pubbliche” – intendo chiunque abbia scelto di utilizzare o comunicare con i propri profili personali il proprio lavoro – abbiamo un metro rispetto a quello che è giusto esporre o meno che non dipende da noi.
Quando ero ragazzina, quello che mostravo mi definiva come una che la voleva dare o se la voleva tenere, all’Università gli scaldamuscoli ricavati dalle felpe di mio padre mi dichiaravano una che si sarebbe divertita sotto quegli strati di pelliccia. Eccetera.
Quanto metto, quanto tolgo?
Quante volte il corpo è stato solo nostro?
Se guardo il mio corpo, lo sguardo è solo il mio o ci metto dentro le aspettative dell’uomo che vorrei al mio fianco? E ancora: della consulente di personal branding che mi osserva su Instagram, della mamma – no, lei no, era spesso in topless ovunque.
Io amo le mie spalle, le braccia lunghe, il torace ampio, mi piacciono le mie gambe, il naso piccolo, gli occhi grandi. Odio le tette che non mi fanno chiudere i vestiti, i piedi che si riempiono di vesciche, il culo piccolo.
Ma sì, è #uncorpocheama, soprattutto quando lo vedo, lo mostro, e lo racconto con gli unici occhi che contano: i miei.
Serena: "Sto ancora lavorando su me stessa"
Un post condiviso da Serena Scuderi (@sere_cappelloabombetta) in data:
Ho riflettuto a lungo se postare questa foto. Non voglio essere quella che cavalca il momento del #bodypositive o del #bodyshaming, non senza portare qualcosa di significativo in questo delicato momento che stiamo vivendo. Dice bene @chiaralascura che se non sei letteralmente e completamente diversa dagli standard non puoi capire fino in fondo cosa sia sentirsi ghettizzate e stigmatizzate. Non posso in tutta onestà dire di essermi mai sentita così. E ho profonda stima di chi invece vive una condizione di marginalità con serenità, forza di carattere e persino ironia. Posso dire nel mio piccolo che madre natura mi ha fornito di un viso e occhi graziosi, ma dal collo in giù è sempre esistita una spaccatura, una discrepanza tra il mio immaginario e la realtà. Dire che ho con il mio corpo un rapporto conflittuale è un eufemismo: sono stata alternativamente magra, cicciottella, magrissima e rotondissima, un’altalena di pesi e misure a cui non sono mai riuscita a stare dietro, che non ho mai accettato. Nemmeno nei momenti migliori, ripensandoci adesso, mi sentivo “abbastanza”. Mai abbastanza vicina a standard impossibili radicati così in profondità dentro di me. Razionalmente lo sapevo e so quanto questo sia sbagliato, eppure dentro di me infuria sempre una lotta. Odiavo mettermi in costume e lo odio tutt’ora, ma sto cercando di fare pace con questo corpo ballerino, perché sentirsi felici non ha nulla a che fare con il peso o le misure, con le rughe o le smagliature, con il giudizio ipercritico di noi stessi e di chi ci circonda che è sempre pronto a cogliere ogni nostra insicurezza o difetto. Ma la conclusione? Ci sto ancora lavorando, e chissà forse non arriverò mai a una vera accettazione di me stessa, ma da qualche parte bisognerà pure iniziare no? Tra poco si va al mare e vediamo se finalmente sarò in grado di abbracciare fino in fondo un liberatorio #CAZZOMENE.
Sarebbe ora. .
- Le interviste di RDD
Cosa ne pensi?