*** Aggiornamento del 21 giugno 2021 ***
Della statua che la città di New York avrebbe dovuto dedicare a Marsha P. Johnson e Sylvia Rivera non si hanno più notizie dal 2019, ma è novità degli ultimi mesi che anche la città natale di Johnson, Elizabeth, nel New Jersey, vuole dedicare un monumento all’icona del movimento LGBTQ+.
Dopo aver raccolto circa 166 mila firme in una petizione per far abbattere la statua di Cristoforo Colombo, giudicato colonialista, e mettere al suo posto quella raffigurante Marsha, il sindaco della città ha deciso di erigere la statua proprio vicino al municipio. Un’iniziativa per onorare la memoria dell’attivista che ha avuto un ruolo cruciale nei moti di Stonewall è stata comunque presa anche a New York, nel luglio 2020, in quello che sarebbe stato il 75° compleanno di Johnson: il governatore di New York Andrew Cuomo ha infatti dedicato un parco statale a Brooklyn a lei, il Marsha P. Johnson State Park , precedentemente noto come East River State Park, che è anche il primo parco statale di New York ad onorare una persona LGBTQ+.
*** Articolo originale ***
Negli Stati Uniti delle scioccanti leggi antiabortiste, dei muri costruiti per impedire gli arrivi di clandestini dal Messico e degli scontri razziali che, nel 2020, hanno portato all’abbattimento di moltissime statue raffiguranti uomini “rei” di essere connessi con lo schiavismo o la segregazione razziale, si intravede, di tanto in tanto, una mano tesa verso i diritti civili e la commemorazione delle lotte che hanno contribuito a migliorare la condizione di alcune fasce sociali.
Un esempio è la costruzione di una statua dedicata alla memoria di Marsha P. Johnson e Sylvia Rivera, due leggendarie icone del movimento transgender che, in tempi in cui la transessualità era oggetto di una moderna caccia alle streghe, hanno rivendicato il diritto alla propria identità, per sé e per gli altri.
Del monumento, rappresentanti le due figure, si è parlato nel 2019, con il sostegno nientemeno che della moglie del sindaco di New York Bill De Blasio, Chirlane McCray, e secondo il progetto sarebbe dovuto essere posizionato al Greenwich Village, nella Grande Mela.
Il movimento LGBTQ è sempre stato dipinto come bianco e maschio; questo monumento va contro la tendenza di dipingere tutta la storia di bianco.
Attualmente, della statua non si hanno notizie, perciò non sappiamo se il progetto sia ancora in fase di realizzazione o momentaneamente sospeso, anche a causa delle rivolte che hanno preso di mira proprio i monumenti. Resta il fatto che l’idea di realizzare una statua per queste due grandi attiviste è stato sicuramente un passo importantissimo di civiltà.
Entrambe simbolo della rivolta di Stonewall, Marsha e Sylvia non hanno naturalmente avuto vita facile; l’una ha trovato la morte nel 1992, bollata da molti come “suicidio” ma giudicata tuttora sospetta da più d’uno – e, del resto, non sarebbe sorprendente scoprire che la Johnson sia stata ammazzata, dato che ai tempi quello era un destino piuttosto comune riservato ai transessuali – l’altra, dopo la marcia del Christopher Street Day del 1973 ha preferito tornare alla vita di strada, preda anche degli stupefacenti, fino alla scomparsa, avvenuta nel 2002 per un tumore al fegato. Il suo discorso di quel giorno resta comunque uno dei più memorabili della storia.
Le loro statue, qualora dovessero essere ultimate, saranno senza dubbio tra le prime a essere dedicate a persone transessuali e, a chi si domanda se davvero ci sia il bisogno di un gesto del genere, rispondiamo di sì: perché, se il nostro Paese, secondo l’indice Trans Murder Monitoring di Transrespect versus Transphobia Worldwide, occupa un triste primo posto in Europa per numero di vittime di trasnfobia (36 vittime tra il 2008 e il 2016); se in Russia e in molte altre aree del mondo omosessualità e transessualità sono ancora considerate crimini punibili anche con la morte; se in Cina i transgender sono disposti a mettere a repentaglio la propria vita pur di effettuare le terapie ormonali e le operazioni che consentano loro di cambiare sesso, allora questi sono le prove più evidenti del fatto che Marsha e Sylvia meritano una statua che sia un monito fortissimo contro l’intolleranza.
Nel Paese in cui i transgender rischiano di morire per poter essere se stessi
In Cina i transgeder non subiscono solo pregiudizi e critiche, molti sono costretti a rivolgersi al mercato nero per ricevere le terapie ormonali, ...
Ma chi sono state davvero Marsha P. Johnson e Sylvia Rivera? Se non le conoscete, sfogliate la gallery per scoprire le loro vite.
Marsha P. Johnson, ha dato il via ai moti di Stonewall
Quando, il 28 giugno del 1969, la polizia di New York fece irruzione al noto locale gay Stonewall Inn, per una retata, Marsha P. Johnson, allora ventitreenne, originaria di Elizabeth nel New Jersey, era presente.
Lei si ribellò alla violenza dei poliziotti che la trascinavano via, e la sua protesta si espanse in breve tempo a macchia d’olio, dando letteralmente il via a quella che passerà alla storia come la rivolta di Stonewall.
Il primo gay pride della storia
Un anno dopo, il 28 giugno del 1970, proprio di fronte allo Stonewall si terrà il primo gay pride della storia, chiamato Christopher Street Day in memoria della strada in cui si trovava il locale.
La morte sospetta
Nel 1992 Marsha viene trovata morta nel fiume Hudson, a New York. Gli inquirenti lo bollano come suicidio, ma secondo gli amici e i conoscenti della vittima è stata assassinata. Del resto, molte delle morti e delle sparizioni di donne transgender all’epoca avevano proprio quel genere di epilogo. Tuttavia, il dossier sul suo caso venne archiviato, e la verità sulla morte di Marsha non è tuttora venuta a galla.
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Per lei un documentario Netflix
Nel 2017 David France firma il documentario La vita e morte di Marsha P. Johnson, nominato agli Oscar, ricostruendo la vicenda, e cercando di risalire alle cause di questa morte inspiegata. Nel progetto France ha seguito Victoria Cruz, attivista del Progetto Anti Violenza della città di New York nella ricomposizione del puzzle legato alla scomparsa di Marsha, attraverso video e fotografie di archivio.
Sylvia, una vita allo sbando sin dall'infanzia
Sylvia era una drag queen, ispanica, lavoratrice del sesso e povera, con una personalità magnetica che faceva paura persino allo stesso movimento omosessuale. Nata con il nome di Ray Rivera nel Bronx nel 1951, Sylvia si ritrovò in strada già a 10 anni, abbandonata dal padre e orfana di madre, inserendosi nella comunità transgender senzatetto, tra clandestinità e prostituzione.
Ha fondato STAR
Con Marsha P. Johnson, Sylvia fondò STAR, l’associazione di soccorso ai ragazzi senza fissa dimora e ai bambini transgender rimasti senza casa.
Discriminata tra i discriminati
In un mondo, quello degli anni ’60, in cui l’attivismo gay era rappresentato soprattutto da uomini borghesi bianchi cisgender omosessuali la presenza di Sylvia non era ben tollerata. Nel 1973, durante la quarta manifestazione del Christopher Street Day, lei salì sul palco di fronte alla folla degli attivisti generalmente tollerati sovrastando i tanti “buu” che le vennero riservati.
Sono stata in prigione, sono stata stuprata e picchiata molte volte, mi hanno rotto il naso, ho perso il lavoro, ho perso la mia casa per ottenere la liberazione, e voi mi trattate così, che cazzo di problemi avete? Rivoluzione, ora!
Il ritorno sulle strade
Dopo la manifestazione, Rivera ebbe un esaurimento, abbandonò STAR e l’attivismo, continuando a vivere per strada e lottando contro la dipendenza da stupefacenti. Morirà a 50 anni, il 19 febbraio 2002, al St. Vincent’s Manhattan Hospital di New York, per un tumore al fegato.
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