I medici della peste rappresentano una figura storica affascinante quanto misteriosa. Si tratta di coloro che applicavano delle terapie contro la «piaga» – terapie che naturalmente si risolvevano molto spesso in un nulla di fatto – e che per fare questo indossavano un abbigliamento particolare. Questo abbigliamento comprendeva un’agghiacciante e al contempo grottesca maschera – che ha ispirato alcuni film horror, a partire da La casa della peste – con un becco a punta.
La maschera dei medici della peste presentava delle aperture per gli occhi – protette da lenti, due buchi per il naso e un becco a punta. Ma a cosa serviva questo becco? Sostanzialmente si trattava di una forma “isolante”, al cui interno veniva posto un fazzoletto impregnato di aceto ed erbe, perché si riteneva che il contagio dalla peste avvenisse attraverso l’olfatto. Gli appestati, infatti, emanavano un pessimo odore, ma soprattutto si riteneva che le malattie infettive si diffondessero nell’aria attraverso i propri miasmi.
Si ritiene che la maschera del medico della peste sia stata attestata per la prima volta nel secolo XIV, ma fu solo con Charles de Lorme nel 1619, il medico del Re Sole, che pensò e realizzò una divisa completa con tonaca, guanti, cappello, scarpe e una canna con cui tenere a debita distanza il malato. Perché anche un solo contagio faceva paura durante un’epidemia – tanto che a Venezia i malati erano condotti nel Lazzaretto Vecchio, mentre coloro che vi erano stati a contatto nel Lazzaretto Nuovo.
La Repubblica – scrive in una lettera il medico veneziano Alvise Zen, dopo le due ondate di peste del 1575 e nel 1630, come riporta Focus – approntò subito una serie di provvedimenti per arginare l’epidemia: furono nominati delegati per controllare la pulizia delle case, vietare la vendita di alimenti pericolosi, chiudere i luoghi pubblici, perfino le chiese. I detenuti vennero arruolati come “pizzegamorti” o monatti. Potevamo circolare liberamente solo noi medici. Gli infermieri e i becchini dovevano portare segni distintivi visibili anche da lontano; noi indossavamo una lunga veste chiusa, guanti, stivaloni e ci coprivamo il volto con una maschera dal naso lungo e adunco e occhialoni che ci conferivano un aspetto spaventevole. Alzavamo le vesti dei malati con un lungo bastone e operavamo i bubboni con bisturi lunghi come pertiche.
Scopriamo insieme qual era il ruolo dei medici della peste e come questa malattia sia entrata nell’immaginario collettivo.
Scuole di pensiero sulla datazione
Stando a quanto riporta Brightside, ci sono diverse scuole di pensiero sulla datazione della nascita delle maschere dei medici della peste. Secondo molti, l’usanza nacque nel XIV secolo, ma in realtà non ci sono grandi prove. Alcuni esperti parlano invece del XVII secolo.
Le ondate di peste
Sempre Brightside riporta come ci siano state diverse ondate di peste nel tempo. La prima pandemia si registrò a metà del VI secolo e uccise più di 125 milioni di persone in Europa e Asia. Una delle più note diffusioni di peste riguarda il XIV secolo e fu portata in Europa dalla Cina e raggiunge la Russia sterminando intere città. In quell’occasione morirono oltre 25 milioni di persone, al tempo un terzo dell’intera popolazione.
Maschere carnascialesche
Rivista di Psichiatria riporta come oggi quelle dei medici della peste siano diventate delle maschere al Carnevale di Venezia – una delle città che, come tutti sanno, risentì molto delle ondate di peste. Per capire cosa rappresentò, vale la pena ricordare una poesia che si insegna nella scuola primaria è ad esempio L’ultima ora di Venezia, composta nel 1849 da Arnaldo Fusinato, e che recita tra l’altro:
Venezia, l’ultima
Ora è venuta;
Illustre martire,
Tu sei perduta;
Il morbo infuria,
Il pan ti manca,
Sul ponte sventola
Bandiera bianca!
In quel caso si parla di un’ondata durante i moti di annessione del Lombardo-Veneto, aggravata tuttavia dalla guerra, mentre le ondate più dure di peste risalgono al 1500-1600.
L'inventore
Rivista di Psichiatria riporta il nome di colui che scelse questo costume per curare gli appestati: fu il medico francese Charles de Lorme, che lo approntò per evitare ai dottori di respirare l’aria malsana del lazzaretto.
Come arrivò
Per secoli – scrive Alvise Zen nella sua missiva – non ci fu calamità più spaventosa della peste. Il morbo veniva dall’Oriente e dunque tutte le strade del commercio, che era per Venezia la principale fonte di ricchezza, si trasformarono in vie di contagio. Era il 1630. Assieme alle spezie e alle stoffe preziose, le navi della Serenissima trasportarono anche la morte nera.
La salvezza
Rivista di Psichiatria racconta cosa accadde dopo la lettera di Alvise Zen. Nella missiva si parla del fatto che il doge Niccolò Contarini strinse un voto: se Venezia si fosse salvata dalla peste, avrebbe costruito una chiesa in onore della Madonna. È così che alla sua morte, dopo la fine dell’epidemia di peste, il nuovo doge Francesco Erizzo fece erigere Santa Maria della Salute.
In letteratura
Tra le opere letterarie che parlano di peste c’è l’Iliade – in cui è Apollo a mandare la peste agli Achei – poi Tucidide ne La guerra del Peloponneso cerca di dare una spiegazione medica (con i pochi messi dell’epoca). Tutti conoscono inoltre la cornice del Decameron: Giovanni Boccaccio fa riunire dei giovani in campagna per sfuggire al morbo e, ancora una volta, sono le storie che si racconteranno di giorno in giorno a indicare la via della salvezza – come accadde per altri romanzi a cornice, ossia Le mille e una notte e I racconti di Canterbury, che però non hanno a che fare con la peste. La malattia – e la sua salvezza – rappresentano un furbo escamotage letterario e un climax memorabile ne I promessi sposi, romanzo di Alessandro Manzoni che contiene l’appendice Storia della colonna infame, che parla del processo ai cosiddetti untori, ossia coloro che si riteneva diffondessero il morbo.
In pittura
La peste è ritratta anche in numerosi quadri, tra cui il Trionfo della Morte di Palazzo Sclafani a Palermo (1446) e Napoleone a Jaffa di Gros al Louvre (1804), come riporta Rivista di Psichiatria.
Iconografia
Ecco un’immagine realizzata da Paul Furst a metà del 1600. È risultato fondamentale per ricostruire il costume dei medici della peste. Il titolo riportato è «Der Doctor Schnabel von Rom», come riporta Rivista di Psichiatria.
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