Alcune storie meritano di essere raccontate e raccontate ancora. Come quella di Michaela DePrince, ballerina classica affermata a livello mondiale, ma con una durissima storia alle spalle. Una giovane vita che lei stessa ha ricordato nell’autobiografia Ora so volare, libro che ha colpito molti, tra cui anche Madonna, che le ha dedicato un film.
Ora so volare
Un’infanzia da incubo, che Michaela ha ripercorso tempo fa anche in un articolo scritto per il Guardian.
Sono nata nel 1995 in Sierra Leone, in piena guerra. All’età di quattro anni ho perso i miei genitori e mio zio ha scelto di lasciarmi in un orfanotrofio. Per colpa di una malattia della pelle chiamata vitiligine ero chiamata La Figlia del Diavolo, ed ero davvero infelice. Un giorno il vento ha portato una rivista con una foto di una ballerina ai cancelli dell’orfanotrofio. Sembrava così felice che mi sono ripromessa di diventare anche io una ballerina un giorno.
Sfogliate la gallery per leggere le parole di Michaela DePrince…
La difficile infanzia di Michaela DePrince
Nata il 6 gennaio 1995 in Sierra Leone, il suo primo nome era Mabinty Bangura. La sua famiglia, di origine musulmana, le venne portata via quando lei era ancora una bambina. Suo padre fu ucciso da un gruppo di rivoluzionari quando lei aveva solo tre anni e la madre morì di fame poco dopo. Anche i suoi tre fratellini morirono da piccoli.
La nuova vita di Michaela DePrince
Lasciata in orfanotrofio dallo zio, nel 1999 venne adottata insieme a un’altra bambina (poi chiamata Mia) da Elaine e Charles DePrince e con loro volò negli Stati Uniti, per ricominciare una nuova vita a Cherry Hill, in New Jersey.
Michaela DePrince, un sogno che si avvera
Una volta trasferita negli Stati Uniti, mia madre mi ha iscritta in una scuola di ballo per aiutarmi a trasformare il mio sogno in realtà. Ora sono una ballerina del corpo di ballo nazionale olandese. Nel 2014, 15 anni dopo la mia adozione, io e mia madre abbiamo scritto insieme la mia storia. Le persone di cui parlo nel libro hanno giocato un ruolo importante nella mia vita.
Una vita dedicata al ballo
Anche se il balletto è la mia passione e il mio sogno, non è completamente vero affermare che mi abbia salvato la vita, senza citare le persone che hanno contribuito a salvarmi la vita. Alcune di queste persone le ho amate, altre le ho detestate. Ma se non fosse per loro, non sarei viva e non sarei nemmeno una ballerina.
Michaela DePrince, una vita sulle punte
Per prima devo ricordare la mia madre africana, che mi amava a tal punto da lasciarmi il suo cibo, quando lei stava morendo di fame. Poi c’è stato il mio perfido zio Abdullah. Anche se mi odiava, si è sentito abbastanza responsabile per me da lasciarmi in un orfanotrofio, invece che vendermi come lavoratrice in una piantagione di cacao o lasciarmi a morire di fame sulla strada.
Michaela DePrince e il supporto dei nuovi genitori
I miei genitori americani hanno dedicato le loro vite ai figli. Grazie al loro amore ho imparato a vivere in America. E quando mia madre ha saputo della mia passione per il balletto, ha convinto mio padre ad aiutarmi. Grazie al loro tempo, alla loro energia e ai loro risparmi, il mio sogno è diventato realtà. Mi hanno incoraggiata e supportata durante i difficili anni di gavetta.
Michaela DePrince e i pregiudizi
Nemmeno la nuova vita negli Stati Uniti è stata così semplice. Michaela ha infatti raccontato come fosse difficile per una bambina di colore farsi strada nella danza. Solo in tempi recenti ha iniziato a non sentirsi più discriminata come ballerina.
Michaela DePrince da bambina
Come raccontato in un articolo del Corriere, a 8 anni, con una borsa di studio alla scuola dell’American Ballet Theatre, le dissero che non avrebbe mai potuto ballare lo Schiaccianoci e che i suoi genitori stavano sprecando soldi. Il direttore del Balletto Nazionale Olandese ha però creduto in lei e nel suo coraggio.
Michaela DePrince, un futuro radioso
Il direttore Brandsen mi ha permesso di indossare in ruoli classici calzamaglie e scarpette da punta marroni riconoscendo che le abituali calze rosa sono concepite per allungare i corpi delle ballerine bianche ma tagliano in due, alla vita, quelli delle danzatrici di colore. Anche a Londra, dove ho ballato il ruolo di Myrtha in Giselle con l’English National Ballet, la direttrice Tamara Rojo mi ha consentito calze e scarpette scure. Sul web alcuni post mi hanno criticata per questo. Arriverà un tempo in cui nessuno si aspetterà più che una ragazza nera appaia in scena dimezzata come una Chimera. Solo se avremo ballerine nere brave in ruoli preminenti abbatteremo i pregiudizi.
- Storie di Donne
Cosa ne pensi?