Nadia Comaneci e quel disperato tentativo di non far sbocciare un corpo asessuato
La storia di Nadia Comaneci, la ginnasta più famosa di tutti i tempi: dall'infanzia in Romania ai successi olimpici.
La storia di Nadia Comaneci, la ginnasta più famosa di tutti i tempi: dall'infanzia in Romania ai successi olimpici.
Olimpiadi di Montréal, 1976. Nadia Comaneci, ginnasta rumena di 14 anni, esegue un esercizio alle parallele asimmetriche perfetto e per la prima volta nella storia i giudici assegnano un 10. Sul tabellone elettronico appare solo un 1, perché un voto così alto era impensabile. Alla fine Comaneci porta a casa tre ori, battendo anche le temibili avversarie sovietiche e diventando una star della ginnastica, ma lei questo non lo sa. Per lei l’Olimpiade è poco più che un gioco.
A quell’età è difficile rendersi conto di una cosa del genere – dichiarò infatti anni dopo – Per me l’Olimpiade era una delle tante gare in calendario. Gli Europei, l’esibizione a Mosca, quella a New York e poi i Giochi. Certo, sapevo che era una cosa importante, ma non sentivo particolarmente la pressione.
Un successo incredibile, frutto di anni di allenamento che è quasi impossibile immaginare. Nella biografia intitolata La piccola comunista che non sorrideva mai, viene descritto anche il percorso di una ragazzina che a cui era stato “vietato” crescere, a costo di diete e allenamenti di ferro, come lei stessa ha raccontato in un’intervista a Repubblica di qualche anno fa. Doveva avere la pancia piatta, niente fianchi e seno, proprio come una bambina.
Ricordo la sorpresa quando al villaggio olimpico mi accorsi che il cibo era gratis: la pizza, i cereali, la ricotta, il burro di arachidi. Chi li aveva mai visti prima? Dico visti, perché il dottore della squadra ci teneva a dieta. Ignoravo anche esistesse l’anoressia. Io la chiamavo fame.
Anche perché per lei, nata a Onesti il 12 novembre 1961, la fame era da sempre stata una costante, purtroppo.
Io ero la figlia di un meccanico e di una casalinga, quando andava bene mangiavo due panini al giorno, non esistevano pasticcerie e nemmeno le caramelle. Facevamo la fila alle quattro del mattino: sugli scaffali solo maionese, mostarda e fagioli. A pranzo: una fetta di salame, due noci, un bicchiere di latte. A dirlo adesso, fa ridere, ma con Ceausescu non si scherzava.
Si avvicina alla ginnastica che ha appena tre anni, e da sempre la definisce la cosa che le “ha regalato un’infanzia stupenda, fatta di viaggi che le mie coetanee in Romania si sognavano. La ginnastica era il mio lasciapassare per i sogni”. Poco importa che gli allenamenti e i sacrifici richiesti fossero duri, durissimi, come i modi del suo allenatore. Ancora oggi Nadia Comaneci, nonostante tutto, sembra guardarsi indietro con un pizzico di malinconia.
Quando andavamo in bagno dovevamo fare pipì con la porta aperta, era preoccupato che noi bevessimo acqua, cosa che in effetti cercavamo di fare. Sì, era esigente. Ma ora che ho un figlio che disubbidisce, che non vuole andare a letto alle dieci, molto furbo, capisco che le regole sono importanti. Non ci fossi stata abituata, oggi non potrei reggere i ritmi della mia vita tra appuntamenti e programmi. E ora quando viaggio penso a me bambina che andavo all’estero, tutti mi chiedono: cosa riportavi a casa? Calzini colorati, non li avevo mai visti. Elastici per capelli. E bubble-gum. Le gomme da masticare per fare le bolle. Che felicità, altro che primo cellulare che ho avuto verso i 40 anni.
Eppure ci furono diverse ferite nella sua vita, anche e soprattutto dopo aver ricevuto quel 10 che la elevò a eroina in patria; tornata in Romania da vera star, fu spesso invitata a palazzo dal dittatore rumeno Ceaușescu, che la nominò persino eroe del lavoro socialista rumeno, rendendola di fatto uno strumento propagandistico di regime. La costrinsero a diventare l’amante del terzogenito Nicu Ceausescu, un argomento che lei non volle mai più riaprire ma per cui pare tentò anche il suicidio, ingerendo della candeggina.
Il 28 novembre 1989, alla vigilia della caduta del regime comunista, Nadia Comaneci fuggì a piedi e dopo diverse traversie arrivò negli Stati Uniti dove ritrovò l’ex ginnasta Bart Conner, già conosciuto per caso a Montréal, che divenne suo marito. Oggi è impegnata nella ginnastica e in diverse associazioni umanitarie.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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