Mutilazioni genitali terribili, matrimoni contratti per questioni di affari di famiglia, gravidanze precoci che spesso conducono alla morte, ma anche reclutamento negli eserciti dei guerriglieri  o la riduzione in schiavitù; in molte aree del mondo la vita, per milioni di bambine, non ha prospettive se non quella di assecondare le imposizioni di una mentalità che le vede relegate a un ruolo marginale per la società, destinate a essere madri e mogli silenziose, figure passive della comunità o schiave sessuali. Non ci sono vie d’uscita per loro, spiragli per un futuro più roseo in cui possano finalmente autodeterminarsi e vivere libere di inseguire le proprie aspirazioni.

Terre des Hommes ha pubblicato un documento agghiacciante per le cifre riportate e i dati che, con crudezza, raccontano di piaghe sociali troppo lontane da noi per essere vissute come palpabili, reali, eppure esistenti e fortemente radicate in comunità che da secoli continuano ad agire seguendo un percorso che parla solo di violenza, discriminazione, brutalità.

Il dramma delle mutilazioni genitali femminili

Da alcuni anni il preoccupante fenomeno dell’infibulazione e delle mutilazioni genitali femminili va di pari passo con la crescente tendenza a “medicalizzare” l’intervento, che mira a usare strumenti sterili, sale mediche appropriate e a servirsi di personale medico qualificato e di anestetici/antibiotici per le ragazze, al fine di ridurre i rischi medici legati alla pratica della mutilazione dei genitali. Come si legge nel report 28 too many, paradossalmente la medicalizzazione delle mutilazioni genitali femminili trae spunto proprio dalle campagne di sensibilizzazione sulle mutilazioni genitali femminili e su HIV/AIDS.
Oggi alcuni dati dicono, ad esempio, che in Egitto la percentuale che è stata “tagliata” da personale qualificato era del 55% nel 1995, mentre nel 2008 è passata al 77%; in Kenya il 14,8% delle ragazze e delle donne di età compresa tra i 15 e i 49 anni è stata mutilata in un ospedale o in un’infermeria. La medicalizzazione, tuttavia, pur garantendo maggiori garanzie per la salute delle bambine, non elimina le conseguenze a lungo termine dell’infibulazione, legate a difficoltà durante la gravidanza e il parto, al rischio di sviluppare cisti o complicanze ginecologiche, fino al dolore avvertito durante i rapporti sessuali; come ha specificato in diverse occasioni l’Organizzazione Mondiale per la Sanità le mutilazioni genitali rappresentano una violazione dei diritti delle bambine, delle ragazze e delle donne.
Proprio in base alle stime dell’OMS, le donne e le ragazze che hanno subito una mutilazione genitale sono circa 200 milioni, concentrate prevalentemente in 30 Paesi: le mutilazioni sono più diffuse in Somalia, dove interessano il 98% delle donne, poi in Guinea (96%), Gibuti (93%), Egitto (91%), Eritrea e Mali (89%), Sierra Leone e Sudan (88%). Nella fascia sub-sahariana – Gambia, Burkina Faso, Etiopia, Mauritania e Liberia – la percentuale delle donne coinvolte oscilla tra il 60 e l’80%.

Nella metà dei Paesi in cui il fenomeno è diffuso la maggior parte delle bambine subisce la mutilazione prima dei cinque anni. In Repubblica Centrafricana, Ciad, Egitto e Somalia, l’80% circa delle ragazze è stata mutilata tra i 5 e i 14 anni.

Alcune delle storie di ragazze che hanno subito una mutilazione genitale sono raccontate nella gallery.

Nel nome dell'infibulazione di Cecilia e di Zainab, stuprata e uccisa a 7 anni
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Nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione sul tema, anche a causa dell’incremento demografico in molti dei paesi interessati i dati raccontano di un aumento progressivo delle mutilazioni: se i trend attuali continueranno, 86 milioni di ragazze nate tra il 2010 e il 2015 rischiano di subire una mutilazione genitale entro il 2030, afferma il report di Terre des Hommes.

A dispetto di quanto si possa pensare, anche in Europa ci sono migliaia di donne e ragazze che convivono con questa pratica – circa 500 mila – o che rischiano di subirla – 180 mila – , ma gli ultimi dati in merito risalgono al 2012, e sono piuttosto variabili in relazione al modo in cui vengono rilevati nei singoli paesi.

Il divieto di accesso all’istruzione

È un altro fenomeno preoccupante di cui ci siamo occupate.

I matrimoni precoci

Fonte: web

Si calcola che ogni anno circa 15 milioni di bambine e ragazze con meno di 18 anni vadano in sposa, ovvero, afferma Terre des Hommes, una ogni due secondi. Approssimativamente si ritiene che siano circa 720 milioni le donne che si sono sposate prima di compiere la maggiore età, più di una su tre aveva meno di 15 anni il giorno in cui hanno pronunciato il “sì”. Nonostante le leggi entrate in vigore per arginare la piaga, Unicef e Unfpa (il fondo delle Nazioni Unite per la popolazione) stimano che, se non ci saranno cambiamenti nel trend attuale, il numero delle spose bambine continuerà ad aumentare nei prossimi anni, fino a raggiungere i 950 milioni entro il 2030 e il miliardo e 200 milioni nel 2050. Più della metà delle spose bambine sono concentrate nell’Africa sub-sahariana.

 

Fonte: terre des hommes

Fra le cause dei matrimoni precoci dobbiamo elencare conflitti, instabilità politica ma anche calamità naturali: non è un caso se tra i dieci paesi con il tasso di matrimoni precoci più elevato, ben sette possono essere considerati “Stati fragili”. Il caso della Siria è emblematico: prima dello scoppio della guerra civile, nel paese i matrimoni precoci rappresentavano appena l’11% delle donne residenti, ma in seguito alla guerra milioni di siriani si sono rifugiati nei Paesi limitrofi, dove si è registrato un aumento dei matrimoni precoci tra i profughi. In Giordania, ad esempio, tra il 2011 e il 2014 la percentuale dei matrimoni precoci è passata dal 12% al 32%.

I genitori che spingono le figlie ancora adolescenti verso il matrimonio lo fanno spesso convinti che un marito le possa proteggere dalle violenze (soprattutto nei contesti di guerra) e garantire loro una vita migliore.
Ma a volte è la legge in vigore nel paese a stabilire la legalità di un matrimonio precoce, a dispetto delle convenzioni internazionali, su tutte la Convenzione per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne (Cedaw) ratificata da 187 Paesi (tranne Iran, Somalia, Sudan, Palau, Tonga e Stati Uniti), che, all’articolo 16, dichiara chiaramente che “Tutte le donne devono avere lo stesso diritto degli uomini di scegliere liberamente chi sposare ed entrare nel matrimonio solo in condizione di libertà e pieno consenso”. In Arabia Saudita, ad esempio, non è fissata un’età minima per il matrimonio, mentre in Iran una ragazza si può sposare legalmente già a 13 anni, in Mali e Kenya a 16. In Sudan le ragazze musulmane possono sposarsi quando raggiungono la pubertà, le ragazze non musulmane dai 13 anni.
Tuttavia, anche in Paesi dove si richiede la maggiore età per sposarsi esistono scappatoie per aggirare la legge, come negli USA, dove, tra il 2000 e il 2010, si sarebbero celebrati almeno 167 mila matrimoni in cui uno dei partner (solitamente la sposa) erano minorenni, nei 38 Stati in cui questa prassi è legale.

Spose e madri bambine

Fonte: web

Legato inevitabilmente al dramma dei matrimoni precoci c’è anche quello delle gravidanze in giovane età; a livello globale, riferisce Terre des Hommes, l’11% di tutti i bambini che nascono hanno una mamma di età compresa tra i 15 e i 19 anni; nel 95% dei casi, si tratta di bambine e ragazze che vivono in Paesi a medio e basso reddito.
Nel 2016 si sono registrate 21 milioni di gravidanze tra le ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni che vivono nei Paesi in via di sviluppo, e nel 50% dei casi si tratti di gravidanze non volute. Le ragazze costrette a sposare uomini spesso molto più grandi di loro non hanno i mezzi e non sanno come evitare una gravidanza, anche a causa della mancanza di appropriati programmi di educazione sessuale, di consultori, o di contraccettivi.
All’interno del matrimonio, inoltre, le giovani spose non hanno sufficiente potere per rifiutare rapporti sessuali non voluti, o per convincere il partner a usare contraccettivi di qualsiasi tipo. Naturalmente, le gravidanze precoci hanno spesso conseguenze nefaste anche per i neonati: tanto più le madri sono giovani, tanto maggiore è il rischio per i bambini. Con una mamma che ha meno di vent’anni, il bambino ha il 50% in più di probabilità di morire prima della nascita, o durante le prime settimane di vita, rispetto ai figli di donne che hanno tra i 20 e 29 anni.

Se una donna non desidera portare a termine una gravidanza, spesso si trova costretta a ricorrere ad aborti illegali o non sicuri: ogni anno circa 3,2 milioni di ragazze con meno di 20 anni affrontano un’interruzione di gravidanza del genere, poco meno della metà di questi interventi (1.400.000) avvengono nei Paesi dell’Africa sub-sahariana, dove almeno 36 mila donne e ragazze muoiono ogni anno per le conseguenze di questi interventi, mentre più di un milione soffre per tutta la vita per le conseguenze fisiche di questi interventi.

Bambine reclutate e coinvolte nelle tratte

Se si stima che il numero dei bambini soldato oscilli tra i 250 e i 300 mila, si pensa che il 30% circa di loro siano bambine e ragazze; che, oltre a svolgere le consuete operazioni “militari”, vengono spesso costrette a subire abusi e violenze o a diventare le “mogli” dei combattenti più anziani.
Sono più spesso opposizioni, gruppi paramilitari e milizie non governative a reclutare ragazze tra le proprie fila. Tra il 1990 e il 2003 bambine e ragazze sono state arruolate in 55 diversi Paesi, e usate attivamente in combattimento nei conflitti che coinvolgevano 38 Paesi.
Ma nel corso degli ultimi anni anche il traffico di bambini è andato progressivamente aumentando: si è passati dal 13% (10% femmine, 3% maschi) del 2004 al 34% (21% femmine, 13% maschi) nel 2011.
Il traffico di minori è particolarmente diffuso nell’Africa sub-sahariana e in America Centrale; ma, se nel primo caso il fenomeno riguarda soprattutto i maschi – sfruttati come forza lavoro, bambini soldato e accattonaggio – in America Centrale e nei Caraibi le vittime sono soprattutto bambine e ragazze, destinate principalmente allo sfruttamento per fini sessuali. Una recente piaga vede invece adolescenti e bambine vendute per matrimoni combinati, soprattutto nel sud-est asiatico.