Il cowboy con cappellaccio calato sulla testa e stivali con speroni, il motociclista selvaggio o il duro con chiodo di pelle e occhiali da sole per nascondere lo sguardo. Negli anni molti sono stati gli stereotipi costruiti sull’idea del “macho“, de “l’uomo che non deve chiedere mai”, come recitava lo slogan di un famoso spot anni ’90, insomma dell’uomo che doveva rappresentare la quintessenza di virilità e vigore.
Sensibilità, sfoghi emotivi, lacrime, sono quindi stati considerati a lungo elementi off limits per quanti volessero mostrare la propria mascolinità. Come se il commuoversi di fronte a una scena particolarmente toccante, o il non dimostrarsi perennemente imperturbabili potessero mettere a repentaglio la propria condizione di maschio alfa.
Chiaramente, e per fortuna, con il tempo – e una buona dose di pazienza – quasi tutti hanno capito che non è così e che, proprio come limitare il concetto di femminilità ad abiti provocanti o make-up pesanti sia non solo piuttosto riduttivo, ma anche mortificante per il genere femminile, allo stesso modo considerarsi virili e “maschi” solo se si risponde a certi stereotipi da pellicola cinematografica sia banale e troppo semplicistico.
L’universo maschile, così come quello femminile, è multisfaccettato e variegato, e l’idea del superuomo non sfiorato da sentimenti umani ha contribuito, semmai, a espandere quell’idea di mascolinità tossica di cui, ahinoi, alcuni faticano ancora a liberarsi, e che purtroppo condiziona notevolmente attitudini e atteggiamenti.
Nonostante le non poche difficoltà, tuttavia, se tra i trend di cui sentiremo sicuramente parlare nel 2019 c’è quello di New Masculinity significa che le cose, lentamente o no, stanno comunque andando in un’altra direzione: che è quella di un contesto decisamente più inclusivo in cui molti brand stanno cercando di far confluire proprio questi superati cliché da marketing degli anni ’80.
L’obiettivo dichiarato è concentrarsi sulle uguaglianze di genere, e non sulle differenze. Come? Adottando un approccio – da parte delle griffe che si rivolgono al mercato maschile – che non faccia leva su ideali riduttivi e superati, offrendo una versione diversificata della mascolinità che possa davvero coinvolgere ogni tipo di uomo.
Detto in altre parole, basta con il super macho con petto villoso e barba folta, via libera anche a uomini con pettorali glabri e sopracciglia depilate. “L’omo ha da puzzà” finisce in soffitta (finalmente).
Gli stereotipi della mascolinità tradizionale
Non è un caso se l’APA (American Psychological Association), nel gennaio 2019, ha rilevato un nesso tra l’alta percentuale di suicidi commessi dagli uomini bianchi americani dal 1999 al 2014 – aumentata del 38% – e gli stereotipi della mascolinità tradizionale, segnata da “stoicismo, competitività, dominio e aggressività” e ritenuta, nel complesso, dannosa.
“Il modo in cui molti uomini sono stati educati fa sì che essi si chiudano in loro stessi”, ha spiegato Fredric Rabinowitz, ricercatore di psicologia presso l’Università di Redlands, in California. L’isolamento sociale dipendente anche dalla falsa convinzione di non poter mostrare pubblicamente le proprie debolezze non solo spingerebbe una percentuale più alta di uomini a essere violenti con le proprie compagne, ma anche verso se stessi. I maschi sono portati alla disperazione da “questa visione della mascolinità che richiama l’immagine del cowboy silenzioso, alla John Wayne”.
L’uomo non mostra il proprio dolore, fisico o interiore, non patisce mai la fame, il freddo, la fatica. Non ha paura se deve dormire in un bosco o scalare una montagna, sa esattamente come portare a termine un lavoro manuale, non piange e e non soffre. Questi sono solo alcuni degli stereotipi più comuni con cui probabilmente la gran parte di noi – sia uomo che donna – è cresciuto. E che, pian piano, si sono insinuati talmente tanto nei nostri schemi culturali e sociali da portare a quel concetto di mascolinità tossica di cui parlavamo poc’anzi.
La mascolinità tossica
Questo concetto è stato recentemente riportato in auge grazie a questo spot Gillette, di cui abbiamo parlato in questo articolo.
La mascolinità tossica comprende tutti quei comportamenti offensivi e gli atteggiamento che vengono comunemente associati agli uomini; un esempio su tutti, come detto, la sensazione di dover obbligatoriamente reprimere le emozioni durante situazioni stressanti, ma anche il voler agire in maniera aggressiva rispetto agli altri.
Uno dei modi in cui la mascolinità tossica si manifesta più frequentemente è l’atteggiamento violento, verso gli altri, soprattutto, ma non di rado anche verso se stessi. Insomma, ci troviamo di fronte a una forma di virilità che è sfociata irrimediabilmente in violenza, sesso, status e aggressività.
A usare per primo il termine pare sia stato lo psicologo Shepherd Bliss nel ventennio fra gli anni ’80 e ’90, come spiegato dalla scrittrice Emily C.A. Snyder.
Bliss separava quelli che lui considerava i tratti negativi degli uomini da quelli positivi, utilizzando il termine mascolinità tossica proprio per distinguere.
Fra i tratti definiti “tossici” rientravano quindi l’evitare di esprimere emozioni, il trasporto esagerato allo scopo di avere il predominio fisico, sessuale e intellettuale, ma anche la svalutazione sistematica delle opinioni femminili, sia sul loro corpo che sulla loro esistenza. Insomma, molto spesso la mascolinità tossica si accompagna, secondo Bliss, a una buona dose di misoginia.
Donne, smettetela di cercare i "veri uomini"
Il vero uomo “non deve depilarsi”, chiaramente “deve essere etero”, “deve sempre avere voglia”, “non può amare i fiori e il rosa”,...
Alla base di questo perpetrarsi degli stereotipi di mascolinità tossica c’è, naturalmente, anche il perdurare di una certa mentalità maschilista e patriarcale, per questo, come spiega Christopher Muwanguzi, CEO dell’ente benefico Working With Men, è importantissimo decostruire e ricostruire l’idea che i più giovani hanno della mascolinità. Secondo il CEO alcuni tratti, come predominio e aggressività, vengono impartiti ai ragazzini già dalla giovane età poiché considerati elementi essenziali dell’essere uomo.
Aiutando giovani uomini e ragazzi a comprendere che loro non hanno bisogno di essere conformi a stereotipi arcaici e aggressivi della mascolinità, possiamo prevenire gli atteggiamenti antisociali, i problemi con la salute mentale, i suicidi, i crimini di genere e la violenza domestica.
Ben vengano, quindi, immagini dove gli uomini non si vergognano di piangere, di sfogarsi con un amico, di soffrire per amore dopo la rottura di una relazione; bene anche che vengano rappresentati più spesso uomini che manifestano contro gli atti di violenza di genere, l’omofobia o il sessismo, che dichiarino la vicinanza a movimenti come il #MeToo o la condanna verso i molestatori seriali, senza se e senza ma. Questi non sono uomini “femministi”, ma semplicemente uomini.
Di contro, c’è anche da chiedersi se noi donne non siamo altrettanto assuefatte all’idea di maschio alfa propinataci a lungo da cultura e costume, e se siamo disposte ad accettare davvero questa New Masculinity. Per questo, in gallery abbiamo raccolto alcune delle domande che ognuna di noi dovrebbe porsi per capire se è davvero in grado di andare oltre i cliché sulla mascolinità.
È troppo effeminato?
Un uomo dai modi di fare effeminati non è omosessuale. Ma in molti continuano a pensarlo. Semplicemente, esistono persone dai tratti più androgini, o che amano curare il proprio aspetto fisico, magari utilizzare il make up, senza che questo implichi una determinata identità sessuale. A una donna può piacere o meno, questo è chiaro, ma lo sbaglio sta nel volerlo rinchiudere in una categoria a tutti i costi.
È troppo peloso?
Un corpo peloso un tempo era un grande baluardo di virilità. Oggi, invece, sempre più uomini scelgono di depilare molte zone del corpo, per estetica, ma anche per praticità e comodità. Anche in questo caso, de gustibus, l’importante è ricordarsi che un corpo glabro non indica minore mascolinità, e che, al contrario, un corpo estremamente villoso non è da associarsi all’uomo delle caverne.
È troppo grasso?
Per quanto gli apprezzamenti sull’aspetto fisico si pensa riguardino soprattutto le donne, anche gli uomini non sono certo esclusi dagli sguardi critici femminili e dagli impietosi confronti con modelli estetici spesso molto difficili da raggiungere. Addominali a tartaruga, pettorali scolpiti e bicipiti di marmo sono sono alcuni degli elementi con cui i maschietti si trovano a dover competere, magari vergognandosi della pancetta o di braccia non propriamente toniche. Quindi ricordiamoci che il body shaming non è solo roba da donne.
È troppo poco sportivo?
Siamo sicure di amare un uomo che a sua volta ami oziare sul divano, che si addormenti spesso davanti alla tv, che non sia un appassionato arrampicatore o scalatore, allergico al calcio e a qualsiasi genere di palestra o attività fisica? Perché, nel nostro immaginario, il maschio è colui che ama fare sport… Se siamo pronte a rimettere in discussione questo cliché, siamo pronte ad abbracciare la nuova idea di mascolinità.
È troppo poco geloso?
Un’altra grande contraddizione femminile: odiamo la gelosia del partner ma “rosichiamo” se non lo è affatto. Partendo dal presupposto che l’essere gelosi abbia a che fare soprattutto con componenti personali e insicurezze proprie, se un uomo non è geloso non significa che sia disinteressato a noi: anzi, dovremmo apprezzarne la fiducia e l’apertura, non essere dispiaciute se non storce il naso nel vederci in minigonna o se non ci “vieta” le uscite con le amiche!
È troppo poco deciso e volitivo?
Le donne spesso e volentieri si lamentano di trovarsi in rapporti impari, ma poi finiscono con il non apprezzare un uomo che lascia spesso e volentieri decidere a loro. Un uomo che non vuole per forza essere il macho della situazione non è meno mascolino, probabilmente è solo più aperto al dialogo e al confronto, e accetta di ascoltare soluzioni alternative alle situazioni rispetto a quelle che vorrebbe proporre lui.
Non è "abbastanza di successo"?
Fermo restando che l’ambizione sia da considerare un pregio e non un difetto, va detto che questa caratteristica non appartiene a tutti, e non si può fare una colpa a chi non la ha. C’è anche chi si ritrova più nel detto “chi si accontenta gode”, e va bene così. Una donna ambiziosa non deve sentire di sminuire il compagno che non lo è, e l’uomo che ama il proprio lavoro senza coltivare particolari velleità non deve sentirsi in difficoltà o meno uomo se ha una compagna che, invece, tiene molto alla carriera. Non è una vergogna se lei guadagna più di lui.
Piange spesso, è molto emotivo?
Un uomo che piange non è meno uomo. Né lo è un uomo dolce e attento.
È semmai un uomo che esteriorizza la sua emotività e non la considera qualcosa da nascondere per rispondere a uno stereotipo, bensì per quello che è: una ricchezza, che non lo rende né meno affidabile, né meno sicuro. Ci vuole coraggio per essere quello che si è.
Cosa ne pensi?