In questi tempi bui, torna un interrogativo dal passato prossimo: quanto vale la vita di una persona che ha un colore della pelle diverso? In tutto il mondo, la cronaca ci restituisce ogni giorno immagini cruente, parole violente. Le ultime arrivano dall’attore Liam Neeson – sì, proprio quello che ci ha fatte commuovere in Love Actually, che ha di recente dichiarato che aver provato il desiderio di uccidere un nero. È accaduto nel corso di un’intervista per l’uscita del suo nuovo film Un uomo tranquillo, una storia di vendetta, come riporta il Guardian. Nell’intervista Neeson ha riportato alla mente l’aver saputo dello stupro di una persona a lui vicino e di aver chiesto di che colore fosse la pelle dello stupratore.
Sono andato su e giù per le strade con un manganello – ha raccontato l’attore – sperando di essere avvicinato da qualcuno – mi vergogno a dirlo – e l’ho fatto per forse una settimana, sperando che qualche «bastardo nero» uscisse da un pub e mi provocasse, sai? In modo da poterlo… uccidere.
Queste parole suonano davvero inquietanti se guardiamo al passato e al presente. Avete mai visto il film Mississippi Burning – Le radici dell’odio di Alan Parker? Si tratta di una pellicola basata su una storia vera, quella dell’omicidio di tre attivisti per i diritti civili negli anni ’60 – due bianchi e un nero – in Mississippi, e della ricerca di giustizia che ne è seguita. Naturalmente, trattandosi di un film, ci sono anche particolari romanzati (a partire dai nomi dei protagonisti e dei personaggi tutti), ma fondamentalmente gran parte di quello che viene mostrato sullo schermo è vero. E c’è una frase interessante, un postulato che un personaggio si pone a un certo punto:
L’odio non è qualcosa con cui nasci, ti viene insegnato.
Questo ci fa tornare alla vicenda originaria del film, la cui parabola di giustizia si è conclusa solo negli anni 2000 (ve la raccontiamo in questa gallery nel dettaglio). All’epoca il Guardian riportò un interessante ricordo di Buford Posey, che fin da allora era un attivista caucasico per i diritti degli afroamericani, ma precedentemente era stato cresciuto in una società, come quella del Mississippi, in cui la vita di un nero valeva decisamente meno di quella di un bianco. Anzi, non valeva affatto.
Mentre crescevo in Mississippi – ha raccontato Posey – non ho mai saputo che fosse contro la legge uccidere un nero. L’ho imparato quando sono andato sotto le armi. Avevo 17 anni. Quando me l’hanno detto, ho pensato che scherzassero.
L’omicidio plurimo
Il 21 giugno 1964, tre giovani attivisti per i diritti civili vennero rapiti e uccisi poco fuori Philadelphia, nel Mississippi. Si trattava di James Chaney di 21 anni, il solo afroamericano tra i tre, Andrew Goodman di 20 e Michael Schwerner di 24. Quello che accadde quella notte di orrore fu ricostruito solo parzialmente – ancora oggi restano dei tasselli vuoti su eventuali altri responsabili.
La telefonata
Posey (nella foto) era già un attivista e ricevette una telefonata alle 3 di notte:
Mi dissero: «Ci stiamo prendendo cura di tre tuoi amici stanotte, sei il prossimo». E attaccarono. Be’, pensai che fosse Edgar Ray Killen, ma non si vede chi è al telefono.
La dinamica
L’automobile su cui viaggiavano i tre uomini fu fermata dal vicesceriffo Cecil Price (a sinistra nella foto) che li portò in cella con una scusa: eccesso di velocità. Price chiamò all’adunata i membri locali del Ku Klux Klan. Quando gli attivisti furono rilasciati, l’organizzazione razzista li seguì, li uccise e bruciò i corpi in un campo.
Edgar Ray Killen
Killen è stato portato in tribunale nel 2005 con l’accusa di aver guidato la spedizione punitiva. È stato giudicato colpevole di omicidio colposo – cioè come se non fosse l’esecutore materiale ma il responsabile per aver chiamato i colpevoli. È morto in carcere a gennaio 2018.
La partenza della giustizia
Nel 1967, diciotto uomini furono accusati di cospirazione. Sette di loro andarono in galera, ma non per oltre sei anni. Uno tra coloro che furono assolti fu Killen, accusato anche all’epoca. Una dei giurati sollevò il problema di non sentirsela di giudicare un predicatore.
In foto il ritrovamento dei corpi delle vittime.
La riapertura del caso
Si è tornato a riparlare della questione solo nel 1999, quando un membro del Ku Klux Klan locale, Sam Bowers, già in carcere per un omicidio a sfondo razziale, confessò a un archivista di stato di aver avuto parte all’omicidio dei tre attivisti. Questo portò alla riapertura del caso con l’accusa a Killen, che nel 1999 disse di avere un alibi per quella terribile notte. Negò anche di essere un membro del Kkk.
Il simbolo
Killen è un simbolo – ha detto Carolyn Goodman, mamma di Andrew, una delle vittime dell’epoca – Non si tratta solo di un uomo. È il simbolo di ciò che questo Paese ritiene giusto.
Il Mississippi
Questo Stato viene ritratto in libri e film come molto restio a condividere il cambiamento, l’integrazione degli afroamericani negli anni ’60. Non si tratta solo del ruolo del Ku Klux Klan ma del razzismo particolarmente diffuso negli Stati Uniti del sud e di una pagina oscura nella storia di questo stato. Da vedere, a questo proposito, molto più soft della pellicola che ha ispirato la storia che vi abbiamo appena raccontato, The Help, tratto dall’omonimo romanzo.
Il film di Alan Parkler
Vi consigliamo caldamente la visione di Mississippi Burning – Le radici dell’odio, interpretato da Willem Defoe, Gene Hackman, Frances McDormand e Ron Lee Erney. La storia racconta di due uomini dell’Fbi che giungono in Mississippi per indagare sulla sparizione di tre giovani attivisti per i diritti civili. Questi due uomini, dal modus operandi molto diverso, cercano di capire cosa sia accaduto.
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