L’inchiesta Veleno portata avanti da Pablo Trincia e Alessia Rafanelli ha fatto emergere uno scandalo senza precedenti che ha coinvolto assistenti sociali e psicologi nell’area della Bassa Modenese, ritenuti responsabili di aver allontanato ingiustamente ben 16 bambini dalle loro famiglie naturali verso la seconda metà degli anni ’90.
I genitori dei piccoli furono accusati delle cose più infamanti, dalla violenza domestica su di loro fino a veri e propri abusi sessuali che si sarebbero consumati tra le mura di casa. Si parlò addirittura di sette sataniche e di bambini usati come sacrifici umani.
Il tutto basandosi sulle testimonianze dei bambini stessi resi proprio alle assistenti sociali, che solo anni dopo, grazie anche a Veleno, sono risultate essere state manipolate o “estorte” con lavaggi del cervello mirati appunto a falsificare la loro percezione della realtà.
C’è di più: da Veleno è poi partito il filone che ha portato allo scoperto un caso tristemente simile e che, incredibilmente, vede coinvolti, fra i carnefici, molti dei nomi già ritenuti menti e artefici dei fatti di Massa Finalese, quello di Bibbiano, su cui tuttora sono aperte le indagini.
È invece grazie a Selvaggia Lucarelli che è stato riportato a galla anche il cosiddetto “caso zero“, quello della famiglia Ferraro che a Sagliano Micca, nel biellese, si tolse la vita dopo essere stati accusati di abusi perpetrati ai danni di nipoti e figli.
Insomma, il fil rouge che unisce queste tre penose vicende è lo stesso: uguali sono alcuni dei nomi coinvolti, identiche le accuse rivolte alle persone finite ingiustamente nel mirino degli inquirenti e, chiaramente, dell’opinione pubblica, identico anche lo scopo, lucrare sulla pelle dei bambini allontanandoli dalle famiglie naturali per accoglierli in centri di assistenza e farli partecipare a sedute terapeutiche, prima di metterli a disposizione per essere adottati.
Alcuni dei bambini di Massa Finalese non sono mai più tornati dalle famiglie di origine, altri, oggi, non hanno più genitori pronti ad accoglierli: Francesca, ad esempio, una mamma che si è vista strappare il figlio senza una ragione, si è tolta la vita mentre si trovava agli arresti domiciliari, gettandosi dal balcone il 28 settembre 1997.
Per tutti c’è una sola certezza: dimenticare è impossibile. Federico Scotta ha scontato 11 anni di carcere da innocente e perso tre figli, l’ultimogenita portata via mentre era ancora in sala parto. ” Mi venne detto che se confermavo le accuse avrei potuto rivedere i miei figli” ha detto.
Non sono stati gli anni di carcere, quegli 11 anni che ho fatto, a farmi più male, ma queste accuse.
Ma nell’orrore che si è consumato nella Bassa Modenese più di vent’anni fa ci sono stati anche spiragli di luce: quelli di una donna, ad esempio, che ha lottato fino alla morte affinché la verità venisse a galla e il nome di molte delle persone ingiustamente finite al centro di quelle accuse così aberranti di pedofilia e violenza – fra cui Don Giorgio Govoni, morto d’infarto nello studio del suo avvocato e riconosciuto innocente solo post-mortem – fosse riabilitato per sempre.
Parliamo di Oddina Paltrinieri, mamma affidataria con il marito Silvio, per un breve periodo, di Dario, quello che è stato considerato “il bambino zero” di Massa Finalese. Quello che per primo aveva “confessato” gli abusi subiti in famiglia, proprio a Oddina, che però, dopo aver accolto le rivelazioni del piccolo, ha deciso di indagare per conto proprio per appurare la verità.
È, in fondo, proprio grazie a lei se oggi sappiamo che le accuse rivolte ai genitori naturali di quei 16 bambini non erano altro che orribili bugie; Oddina è morta nel 2013 a 69 anni, ma ancora oggi viene ricordata con affetto per l’impegno profuso proprio per smuovere le acque torbide e far affiorare la verità, e lo stesso Pablo Trincia l’ha ricordata in un post, sottolineando quanto il merito delle rivelazioni di Veleno sia, in realtà, proprio suo.
Ecco chi era Oddina Paltrinieri e in che modo il suo lavoro di documentazione ha contribuito a far emergere l’orrore che si è nascosto per anni in quella zona dell’Emilia Romagna.
È stata la mamma affidataria del "bambino zero"
Nell 1993 Oddina aveva accolto in casa il piccolo Dario Galliera, considerato poi il “bambino zero” di Veleno, perché fu il primo a rivelare di aver subito violenze da parte dei genitori, da cui era stato tolto in modo traumatico ad appena 3 anni, dando così il via all’allontanamento a catena di altri 16 bambini, i cui genitori sono stati accusati di partecipare a riti satanici nei cimiteri, in cui si sarebbero consumati sacrifici animali e di bambini.
A capo della setta ci sarebbe stato Don Giorgio Govoni. Lo stesso che, morto nel 2000 d’infarto, fu scagionato solo dopo la morte.
Ha iniziato la sua indagine personale
Oddina e il marito Silvio hanno tenuto con sé Dario per un breve periodo, prima che i servizi sociali di Mirandola lo portassero al Cenacolo Francescano di Reggio Emilia.
Dopo che Dario iniziò a rivelare, nella primavera del 1997, sia alla mamma affidataria che alla psicologa Valeria Donati gli abusi subiti presso la sua famiglia naturale, Oddina decise di aprire una propria indagine personale, assieme al parroco di Finale Emilia, Don Ettore Rovatti.
Insieme i due iniziano ad archiviare una mole considerevole di documenti sul caso, fermamente convinti dell’innocenza di tutti gli accusati.
Ha raccolto un archivio imponente
Da allora, e fino al giorno della sua scomparsa, nel 2013, Oddina ha studiato questa storia in ogni suo dettaglio, raccogliendo ritagli di giornali, documenti, verbali, sentenze e videocassette con le testimonianze dei bambini che gli avvocati le passavano.
Finendo con il costruirsi un archivio imponente, che consultava spesso annotandosi nomi, cognomi, date, eventi, ed eventuali incongruenze.
Non buttate l'archivio
Fu la raccomandazione che fece alle figlie Giulia e Claudia prima di morire.
Non buttate l’archivio. Sia mai che un giornalista un giorno se ne voglia occupare.
Tutti assolti, ma il dolore resta
I genitori accusati di abusi e di violenze sui 16 bambini tolti loro sono stati tutti assolti. Ma certo resta il dolore per quanto dovuto subire.
Lorena Covezzi si è vista portare via quattro figli e ha dovuto partorire il quinto, Stefano, in Francia, per paura che anche lui le fosse strappato. Delfino Covezzi, suo marito, se n’è andato nel 2012 stremato dal dolore.
Roberta Barelli ha fatto nascere Giada nel mantovano per gli stessi motivi.
Antonella Giacco dal 1998 non ha più potuto rivedere la sorella Margherita.
Insomma, certe cicatrici sono rimaste, e resteranno indelebili, nel cuore di chi le ha vissute.
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