Cosa sappiamo di Patrick Zaky, lo studente arrestato e torturato in Egitto
Patrick Zaki resta in carcere, e rischia fino a 25 anni. Rinnovata la prigione per il giovane ricercatore dell'università di Bologna, in prigione dal febbraio del 2020.
Patrick Zaki resta in carcere, e rischia fino a 25 anni. Rinnovata la prigione per il giovane ricercatore dell'università di Bologna, in prigione dal febbraio del 2020.
Neanche stavolta Patrick Zaki potrà tornare a casa. È stata resa nota oggi la decisione, presa lunedì dal tribunale del Cairo, di rinnovare per altri 45 giorni la permanenza in carcere del ricercatore egiziano dell’università di Bologna, incarcerato dal 7 febbraio 2020 con l’accusa di propaganda sovversiva su Internet. Secondo Amnesty International, Zaki rischia fino a 25 anni di carcere, stando alla legge egiziana, che limita la custodia cautelare a un massimo di due anni, ma prevede possibili prolungamenti se emergono nuove contestazioni.
Mi chiedo se anche dopo il secondo voto del Parlamento in favore di Patrick Zaki il Governo italiano continuerà a invitare alla cautela e al silenzio, oppure prenderà qualche iniziativa. Ad esempio, convocando l’ambasciatore d’Egitto in Italia per esprimere il proprio scontento – è il commento di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia – Ci sono volute 48 ore per conoscere un esito che purtroppo molti davamo per scontato, una sentenza ancora una volta crudele, che farà aumentare fino a oltre un anno e mezzo la detenzione senza processo e senza possibilità di difendersi.
C’è un modo per tentare di salvare Patrick Zaki e di farlo uscire dal carcere del Cairo in cui si trova dal febbraio del 2020, in attesa del processo, ed è quello di garantirgli la cittadinanza italiana che, secondo il secondo comma dell’articolo 9 della Legge 91/1992, può essere offerta allo straniero che “abbia reso eminenti servizi all’Italia” oppure nel caso in cui ricorra “un eccezionale interesse dello Stato”.
La petizione di Change.org #patrickcittadinoitaliano ha già raggiunto oltre 200 mila firme, ma la proposta è già arrivata anche in Senato, che il 14 aprile ha approvato un ordine del giorno proprio per concedere la cittadinanza italiana a Patrick, con 208 voti favorevoli, 33 astenuti (Fratelli d’Italia) e nessuno contrario.
I senatori chiedono ora al governo di impegnarsi a “intraprendere tempestivamente ogni ulteriore iniziativa presso le autorità egiziane per sollecitare l’immediata liberazione”, ma anche di valutare “la possibilità dell’utilizzo degli strumenti previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti”.
Come detto, solo Fratelli d’Italia si è astenuto dal voto, con la motivazione, come spiegato dal capogruppo, Alberto Balboni, che “per raggiungere l’obiettivo della sua liberazione la strada da seguire sia quella della diplomazia”.
Anche alla Camera è stata presentata una mozione per concedere la cittadinanza italiana a Patrick Zaki, e ha ovviamente lo scopo di aumentare le pressioni sul governo egiziano, affinché si passi alla scarcerazione dell’attivista, arrestato nel 2019 al rientro nel suo Paese.
Il suo è un calvario lungo più di un anno, che abbiamo raccontato, con gli sviluppi più recenti, nell’articolo originale che segue.
Patrick Zaki resta in carcere. La Corte d’assise del Cairo ha rinnovato di altri 45 giorni la misura detentiva per il giovane ricercatore egiziano dell’Università Bologna Patrick Zaki. La sua legale, Hoda Nasrallah, ha anche riferito che è stata respinta la richiesta, presentata ieri dalla difesa, di un cambio dei giudici che seguono il suo caso.
Amnesty International, che segue la vicenda di Zaki dall’inizio, ha scritto un post sulla propria pagina Instagram ufficiale per denunciare l’ennesima decisione avversa ai danni di Patrick, che comincia a essere molto provato psicologicamente, dopo più di un anno di carcere.
L’accanimento continua – si legge nella caption – Patrick, studente dell’Università di Bologna, dovrà restare in carcere per altri 45 giorni. È stata inoltre respinta la richiesta, presentata ieri dalla difesa, di un cambio dei giudici che seguono il caso.
Vorremmo che il Governo italiano facesse subito una cosa: convocare l’ambasciatore egiziano a Roma per esprimere tutto lo sconcerto per questo accanimento nei confronti di Patrick e chiedere che sia rilasciato immediatamente.
Patrick è in carcere da 1 anno, 1 mese e 29 giorni. Questo incubo deve finire.
Anche Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International in Italia, ha espresso il proprio disappunto per la decisione della Corte del Cairo:
Quello che la difesa di Patrick aveva dichiarato ieri, e cioè che c’era un accanimento giudiziario nei confronti di questo ragazzo è confermato dalla decisione di oggi che è crudele, dolorosa. Vorremmo che il Governo italiano facesse subito una cosa, perché può farla subito: convocare l’ambasciatore egiziano a Roma per esprimere tutto lo sconcerto per questo accanimento nei confronti di Patrick e chiedere che sia rilasciato. Devono essere fatte tutte le altre cose necessarie per salvare Patrick da questo incubo.
Se ci sono voluti quasi cinque anni perché si arrivasse a una svolta nel caso Giulio Regeni, il giovane ricercatore friulano ucciso in Egitto tra il gennaio e il febbraio 2016, la vicenda di Patrick Zaki non sembra invece purtroppo condurre a un esito positivo, almeno nel breve periodo.
Patrick era tornato in Egitto per una breve vacanza, dopo aver superato l’ultimo esame in calendario, ed è è stato arrestato all’aeroporto egiziano, mentre faceva ritorno in patria da cui mancava dal settembre 2019, con l’accusa di diffusione di notizie false, incitazione a proteste, tentativo di rovesciare il regime, uso dei social media per danneggiare la sicurezza nazionale, propaganda per i gruppi terroristici e uso della violenza.
Motivi per cui il ragazzo è stato sottoposto a torture, “a scosse elettriche e colpito, ma in maniera da non far vedere tracce sul suo corpo“, ha fatto sapere all’ANSA Nasrallah, aggiungendo anche che Patrick ha chiesto “di essere visitato da un medico legale per mettere agli atti le tracce della tortura subita“.
Le mobilitazioni sono scattate sin da subito: Amnesty International ha lanciato una petizione per richiedere il rilascio immediato del ragazzo, consci anche del fatto di dover fare di tutto proprio per scongiurare un nuovo caso Regeni. Ma anche la Ue non è rimasta a guardare, e l’attenzione richiamata dall’Italia ha spinto all’azione il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), guidato dall’Alto rappresentante Josep Borrell, che gestisce le relazioni diplomatiche dell’Ue con altri Paesi al di fuori dell’Unione.
Ciononostante Il Cairo è sempre andato avanti per la sua strada, ignorando gli appelli e le mobilitazioni internazionali, anche diplomatiche. Adesso arriva la nuova doccia fredda: più di un altro mese in carcere per il ricercatore, per la cui salute, ovviamente, adesso si teme più che mai.
Ecco nella gallery la storia di Patrick Zaky.
27 anni, egiziano di Mansoura ma studente all’università di Bologna dopo la laurea in farmacia in Germania, Patrick è un attivista per la ONG Egyptian initiative for personal rights.
Dopo l’arresto, nella notte tra il 6 e il 7 febbraio all’arrivo in aeroporto, Zaky è stato trasferito dal Cairo dopo il primo interrogatorio alla prigione di Mansoura, circa 120 chilometri a nord est.
È psicologicamente distrutto, è arrabbiato.
Ha spiegato la legale dell’Eipr.
Secondo quanto ricostruito proprio dall’Eipr, Patrick sarebbe stato “picchiato, sottoposto a elettroshock, minacciato e interrogato sul suo lavoro e sul suo attivismo” nelle 24 ore trascorse tra l’arresto e la detenzione a Mansoura. Inoltre sarebbe stato presentato un rapporto della Polizia che sostiene di averlo arrestato a un checkpoint di Mansoura sulla base di un mandato emesso a settembre 2019.
George Michel e Hala, papà e mamma di Patrick, al Corriere hanno raccontato lo strazio vissuto nei giorni immediatamente seguenti all’arresto:
Ce l’hanno fatto vedere domenica. Lo rivediamo giovedì. Solo dieci minuti in parlatorio, assieme agli altri detenuti, presente un agente di polizia. Gli abbiamo portato acqua, patatine, pane, succo, formaggi, tutta roba in contenitori di plastica, niente tonno perché è nelle scatole di metallo. Lui non fuma, ma gli abbiamo portato le sigarette: in carcere, sono una moneta di scambio.
[…] È bene che sia vivo, ma poi? È un ragazzo forte, però questa situazione è pesante, sa che cosa rischia, è psicologicamente provato. La nostra tortura è quel che sta succedendo. Quest’attesa, senza sapere che cosa ne faranno. Se non c’è nulla a suo carico, che lo facciano uscire e basta!
Mohamed Lotfy, avvocato della famiglia Regeni, in un’intervista a Repubblica ha sostenuto che gli aguzzini di Patrick siano gli stessi di Giulio.
Patrick è stato arrestato per i suoi studi in Italia. Chissà che paranoia si sono costruiti. A prenderlo è stata la Sicurezza nazionale, il servizio segreto civile, lo stesso coinvolto nel sequestro, tortura e omicidio di Giulio, e che ha cinque ufficiali indagati per questo dalla procura di Roma. Lo hanno interrogato con metodi che, purtroppo, conosciamo bene. Le torture. E gli chiedono il perché del suo viaggio in Italia, perché studiasse da voi e che cosa facesse nel vostro Paese.
L’omicidio di Giulio continua a essere un’inaccettabile spina nel fianco per il nostro governo e, in qualche modo, ci sono anche delle analogie con l’arresto di Patrick: sono studenti in un Paese in cui la cultura fa molta paura. Non è un caso che l’arresto di Patrick sia avvenuto proprio in questo periodo, poco dopo le manifestazioni di piazza Tahrir del 25 gennaio. In questi giorni ci sono stati moltissimi arresti di chiunque abbia manifestato dissenso. E non è un caso che nello stesso periodo, quattro anni fa, Giulio fu sequestrato.
La street artist Laika lo ha realizzato in via Salaria, sul muro di Villa Ada, a pochi passi dall’ambasciata egiziana a Roma. Raffigura Giulio Regeni che abbraccia Patrick Zaky in divisa da carcercato dicendogli “Stavolta andrà tutto bene”, mentre in basso si legge la parola “libertà” scritta in arabo.
Nell’abbraccio di Giulio e Patrick c’è un doppio messaggio – ha spiegato la misteriosa artista a Repubblica – da una parte un’immagine tenera, di conforto, contornata da un messaggio di speranza che si contrappone alla brutalità con la quale il governo egiziano sta trattando Zaky. Dall’altra un monito all’Egitto. Quello che è accaduto a Regeni non deve succedere più. Dobbiamo parlarne, dobbiamo fare rumore
Anche il mondo dell’Università italiana e la città di Bologna si sono mobilitati. Patrick sta portando avanti nell’ateneo felsineo un progetto unico nel suo tipo in Europa, sugli studi di genere.
In piazza Maggiore c’è stato un flash mob accompagnato dallo slogan “Libertà per Patrick”, mentre l’Università di Bologna ha costituito un gruppo di crisi per seguire da vicino gli sviluppi della situazione. Su Change.org c’è una petizione per chiedere al presidente egiziano al- Sisi di intervenire per far rilasciare il giovane attivista.
Attualmente Patrick si torva ancora nel carcere di Tora in Egitto, dopo che un giudice del Cairo ne ha impedito la scarcerazione chiesta dalla difesa del ragazzo.
Nel giorni scorsi il Consiglio comunale di Milano ha votato all’unanimità l’attribuzione della cittadinanza onoraria a l giovane. Questo quello che scrive il sindaco di Milano, Beppe Sala.
È un gesto che sottolinea la vicinanza della nostra città a questo giovane ricercatore incarcerato in Egitto e anche a tutti coloro che si battono a favore dei diritti umani.
Sala si è inoltre esposto a favore della richiesta avanzata dalla famiglia di Giulio Regeni di ritirare l’ambasciatore italiano dal Cairo:
Pur portando genuino rispetto e senso di amicizia per il popolo egiziano e in particolare per la grande comunità egiziana che vive a Milano, crediamo che non sia più accettabile il non ottenere la giusta verità da parte dell’attuale Governo egiziano. Per questo appoggiamo la richiesta della famiglia di Giulio di ritirare l’ambasciatore italiano dal Cairo.
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