Secondo i dati diffusi da Amnesty International, nel 2019 sono state almeno 657 le esecuzioni nel mondo, e oltre 2300 le condanne a morte comminate, valori che non includono la Cina dove i dati sulla pena capitale continuano a essere classificati come segreto di stato.
L’Iran, con l’esclusione appunto della Cina, è il paese con il numero più alto di esecuzioni (almeno 251), mentre l’Arabia Saudita con 184 persone messe a morte ha raggiunto il valore più alto mai registrato da Amnesty International, in un anno, nel Paese.
Quello che forse non tutti conoscono, però, è l’iter complesso che ha portato la pena di morte in Italia alla completa abolizione. Di fatto, però, l’ultima esecuzione è avvenuta nel 1947.
Un articolo di qualche anno fa dell’Avvenire ci ricorda il lunghissimo percorso verso la cancellazione della pena di morte in Italia, durato ben 142 anni e formalmente conclusosi solo nel 2007, quando una legge costituzionale ha rimosso l’ultimo accenno alle esecuzioni nel nostro ordinamento. Così recita l’articolo 27 della nostra Costituzione:
La responsabilità penale è personale.
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte.
Sfogliate la gallery per ripercorrere la storia della pena di morte in Italia…
La pena di morte in Italia prima dell'Unità
Con la pubblicazione di Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, nel 1764, gli intellettuali cominciarono a prendere coscienza delle ragioni per abolire la pena di morte in Italia. La Repubblica di Venezia fu il primo stato in Europa ad abolire formalmente la tortura e la pena di morte, ancor prima dell’Illuminismo: le ultime condanne risalgono infatti all’inizio del Settecento. Il Granducato di Toscana fu invece il primo al mondo, nel 1786, ad abolirla con un atto formale.
L'Inquisizione in Italia
Durante la dominazione spagnola, nel Regno di Sicilia le condanne a morte erano soprattutto legate a reati contro la fede e venivano istruite dall’Inquisizione. Si trattava quasi sempre di esecuzioni feroci e ingiuste, che spinsero persino alla nascita di un culto dedicato alle anime dei “decollati”, che si riteneva vagassero come spiriti per aiutare i più deboli.
La fucilazione del patriota Amatore Sciesa nel 1851
La pena di morte era prevista nell’ordinamento del Regno Lombardo-Veneto, sebbene siano state poche le condanne effettuate intorno alla metà dell’Ottocento. Tra queste anche quella di Amatore Sciesa, tappezziere milanese che si adoperò nella diffusione di manifesti contro la dominazione austriaca. Arrestato nel luglio del 1851, dopo un processo farsa venne fucilato il 2 agosto dello stesso anno.
L'esecuzione dei due rivoluzionari Monti e Tognetti nel 1868 a Roma
L’ultima esecuzione capitale nello Stato Pontificio avvenne nel 1870 a Palestrina, poco prima della Presa di Roma. Due anni prima aveva fatto scalpore l’esecuzione dei due rivoluzionari Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, autori di un attentato ai danni del corpo militare pontificio. Catturati nell’ottobre del 1868, un mese dopo furono decapitati mediante ghigliottina nei pressi del Circo Massimo. La Città del Vaticano abolì poi la pena di morte ufficialmente nel 1969 per ordine di papa Paolo VI.
Il ministro Zanardelli e l'abolizione della pena di morte in Italia
Dopo l’unificazione italiana del 1861, ci vollero diversi anni prima dell’approvazione di un codice penale per tutto il Paese. La pena di morte in Italia rimase così in vigore fino al 1889, quando le Camere la abolirono quasi all’unanimità su proposta del Ministro di Grazia e Giustizia Giuseppe Zanardelli. Restò però in vigore nel codice penale militare, soprattutto per atti di diserzione e insubordinazione.
Il ritorno della pena di morte durante il Fascismo
Tutto cambiò con l’avvento del fascismo, nel Novecento: nel 1926 Mussolini reintrodusse per legge la pena di morte per i civili che avevano commesso reati contro lo stato e il primo a farne le spese fu Michele Della Maggiora, un contadino toscano accusato di aver ucciso due fascisti. Il Codice Rocco, del 1930, estese poi la pena di morte anche a reati più comuni.
Laura D'Oriano, condannata a morte dai fascisti
La sola donna condannata a morte e uccisa in Italia per mano dello Stato è stata Laura D’Oriano, una delle tante vittime del fascismo in Italia. Agente segreto al servizio degli Alleati, nel 1941 fu scoperta e poi fucilata nel 1943 a Roma. Durante il periodo fascista furono legalmente giustiziate 118 persone, ma ovviamente non è possibile tenere il conto delle esecuzioni sommarie.
Il processo di Verona
Tra i giustiziati durante il periodo fascista ci furono anche cinque dei diciannove membri del Gran Consiglio del Fascismo che nel 1943 avevano sfiduciato Benito Mussolini dalla carica di Presidente del Consiglio. Gli altri assenti al processo condannati in contumacia, mentre solo per uno di loro arrivò la condanna all’ergastolo. Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli e Carlo Pareschi furono condannati a morte e fucilati l’11 gennaio del 1944.
La condanna a morte degli assassini di Villarbasse
La pena di morte in Italia venne abolita definitivamente con la Costituzione italiana, approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore nel 1948. Rimase però ancora in vigore nel codice penale militare fino al 1994, senza essere applicata. L’ultima condanna a morte fu quella per gli assassini di Villarbasse, Francesco La Barbera, Giovanni Puleo, Giovanni D’Ignoti. I quattro ex braccianti avevano ucciso dieci persone a scopo di rapina, in una cascina del torinese, e poi le avevano gettate in una cisterna. Furono fucilati il 4 marzo del 1947. Il giorno dopo vennero giustiziati vicino a La Spezia anche alcuni fascisti, che erano però stati condannati a morte nel 1946.
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