Il momento in cui Kathrine Switzer decise che anche una donna aveva diritto di correre la maratona è passato alla storia come “The Great Incident”. Era il 1967, e l’allora ventenne studentessa universitaria si iscrisse alla classica di Boston inviando soltanto le iniziali del suo nome e cognome.
Un trucco con cui riuscì a conquistare il pettorale 261, schierandosi insieme agli altri uomini e provocando l’ira (e la reazione violenta) di altri corridori. Passò alla storia e innescò un movimento di protesta che portò all’apertura delle competizioni alle donne: nel 1971 a New York e nel 1972 a Boston. Nel 2017, cinquant’anni dopo, il numero da lei indossato è stato ritirato per sempre: un modo per onorare un gesto che ha fatto la storia.
Nella sua autobiografia Marathon Woman, Kathrine ha spiegato cosa l’avesse spinta a ribellarsi alle regole e a continuare a essere un’attivista per i diritti delle donne.
Come donna non mi sono mai accontentata di giocare con le bambole o fare solo la cheerleader. Sì, mi piaceva giocare con le bambole o indossare bei vestiti, ma mi divertivo anche ad arrampicarmi sugli alberi e a fare sport. Dopo la mia esperienza a Boston, capii che vi erano milioni di donne al mondo che erano cresciute senza credere di poter superare i limiti a loro imposti. Volevo fare qualcosa per migliorare le loro vite. Ciò di cui abbiamo bisogno è il coraggio di credere in noi stesse e andare avanti passo dopo passo.
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La passione per la corsa di Kathrine Switzer
Kathrine Switzer è nata a Amberg, in Germania, il 5 gennaio del 1947. Figlia di un militare americano, tornò negli Stati Uniti con la famiglia solo due anni dopo. Dopo il college in Virginia, si iscrisse alla Syracuse University per studiare giornalismo. La sua grande passione, però, era lo sport. Spinta dai genitori, decise di entrare nella squadra di hockey su prato: fu proprio il suo coach a rendersi conto della sua inclinazione verso la corsa. Correva infatti ogni giorno per diversi km, senza preoccuparsi delle condizioni climatiche.
Kathrine Switzer e il sogno di Boston
Nel 1967 Kathrine conobbe Arnie Briggs, il postino dell’università e grande appassionato di maratona, con cui iniziò a prepararsi per la competizione di Boston. Lui credeva che fosse troppo fragile per farcela, ma lo convinse di potercela fare, anche se la gara non era aperta alle donne. Aggirò le regole, iscrivendosi solo con le iniziali e presentandosi al nastro di partenza con Arnie e il fidanzato Tom Miller, anche lui sportivo. Per un po’ sembrò funzionare, ma quando il pubblico iniziò a rumoreggiare per via della presenza di una ragazza, il direttore della gara raggiunse Kathy, strattonandola per fermarla. Furono Arnie e Tom ad allontanare l’uomo e a farla proseguire.
Kathrine Switzer e una vita di successi
Kathrine Switzer concluse la maratona con un tempo di 4:20:00. Fu un successo mediatico che spinse tante altre donne a reagire a un’ingiustizia: qualche anno dopo, nel 1972, il regolamento venne modificato. Lei partecipò alla Boston Marathon per 8 volte, fino al 1974, anno in cui vinse. Nella sua carriera ha corso ben 39 maratone.
La lunga corsa di Kathrine Switzer
Va però ricordato che nel 1966, un anno prima del Great Incident, un’altra ragazza ci aveva già provato. Bobbi Gibb, anche lei studentessa universitaria, aveva partecipato di nascosto, però senza il pettorale di gara, concludendo in 3 ore 21 minuti e 14 secondi. Nel 1984, ai giochi di Los Angeles, la maratona femminile fece parte per la prima volta del programma olimpico e fu vinta dalla statunitense Joan Benoit Samuelson.
Kathrine , cinquant'anni dopo
Nel 2017, a distanza di cinquant’anni dalla sua storica maratona, Kathrine Switzer ha corso ancora a Boston, insieme a tante altre donne che l’hanno onorata.
Kathrine Switzer, un esempio per le donne
Intervistata da Fashion Times, Kathrine Switzer ha così ricordato quel giorno:
La Maratona di Boston era, ed è, la gara più importante al mondo dopo le Olimpiadi, quando ho iniziato a correrla era solo per me stessa e anche una sorta di rivalsa nei confronti del mio Coach che forse forse, non credeva che avrei terminato la gara, poi quando mi sono vista strattonare, ho sentito una forza in me che mi ha spinto ancora di più nella mia determinazione, ne ho fatto una questione di principio, in quel momento mi è scattato un qualcosa dentro… Come se quello che stavo facendo fosse in rappresentanza di tutte le donne e quando ho sentito il mio Coach gridare “Run to hell!” ho dato tutta me stessa.
Kathrine Switzer premiata con il dottorato honoris causa alla Syracuse University
Oggi come allora lotto per aiutare le donne a darsi una possibilità, le aiuto a lottare attraverso la mia fondazione non profit, 261 come il pettorale di quella prima maratona perché se io ce l’ho fatta, anche altre possono trovare in loro stesse la giusta determinazione.
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