Robin Williams, gli ultimi giorni e i ricordi più belli di un artista immenso
Nel 2014 se ne andava Robin Williams. Dietro il sorriso da eterno Peter Pan si nascondeva un uomo divorato dalle paure, e da un male incurabile.
Nel 2014 se ne andava Robin Williams. Dietro il sorriso da eterno Peter Pan si nascondeva un uomo divorato dalle paure, e da un male incurabile.
L’11 agosto del 2014 moriva Robin Williams.
Il corpo dell’attore venne ritrovato nella sua casa di Paradise Cay, California; Williams aveva deciso di togliersi la vita, impiccandosi con una cintura, fissata alla maniglia della porta chiusa nella sua camera da letto.
Per tutti, la notizia di quella scomparsa inaspettata, e le modalità con cui era avvenuta, rappresentarono un fulmine a ciel sereno; d’un tratto, era come se la depressione avesse assunto la sua forma più crudele e spaventosa, quella che si cela dietro il sorriso e l’apparente buonumore per nascondere l’inferno.
Perché così, in fondo, è stato per Robin Williams, eterno Peter Pan del cinema (e che sul grande schermo lo è stato per davvero, in Hook), interprete di così tanti ruoli buffi, spiritosi, talvolta al limite dell’infantilismo più naïf, da rendere quasi impossibile pensare a lui in una dimensione “da adulto”, con problemi e disagi.
Lui, il suo male, lo portava con sé ogni giorno, riservandolo solo ai suoi cari e agli amici più intimi, e lasciando al pubblico, al suo pubblico, l’illusione che niente in lui fosse cambiato.
Oggi, però, i tasselli che compongono il puzzle dietro la morte di uno degli attori più amati degli ultimi quarant’anni lentamente stanno tornando a combaciare, le verità non dette o nascoste alla base di quel gesto solo apparentemente “inspiegabile” sono uscite allo scoperto con il tempo. Anche grazie all’ultima moglie di Robin, Susan Schneider, e all’intervista rilasciata alla Abc nel 2017, che ha reso possibile conoscere quel lato oscuro ignorato dai fan.
Williams combatteva da tempo con una forma di demenza chiamata demenza da corpi di Lewy (o DLB), una malattia neurodegenerativa simile all’Alzheimer, ma ad esordio più precoce, e spesso correlata a Parkinson e a sindromi parkinsoniane. Quella, secondo Susan, sarebbe stata la vera causa che ha portato alla morte del marito.
È questo ciò che ha preso la sua vita – ha raccontato nell’intervista, aggiungendo che ormai da tempo Robin era affetto da depressione, ansia e paranoia – La depressione era solo una piccola fetta di quella torta rispetto a ciò che stava passando… Ciò che lo ha colpito ancora più della depressione è stata l’’ansia. L’ansia era davvero enorme.
La Schneider prosegue, racconta che i medici avevano pronosticato a Robin Williams appena tre anni di vita. Le sue parole sembrano trovare conferma anche dalla testimonianza di Cheri Minns, truccatrice del cast del film Una notte al museo, che il giornalista e scrittore Dave Itzkoff ha intervistato nel suo libro, Robin Williams. Storia di una vita.+
Faceva fatica a camminare, ma le condizioni peggiori riguardavano il suo stato mentale – ha riferito Minns – Non riusciva a ricordare le battute ed era demoralizzato, piangeva spesso tra le mie braccia, era una situazione terribile. Io gli suggerii di tornare al cabaret, ma lui mi disse: ‘Non posso, non so più essere divertente’. Piangeva ogni giorno, al termine delle riprese, io però ero solo una truccatrice, non una psicologa, e per questo consigliai al suo entourage di farlo seguire da uno specialista, ne aveva bisogno.
“Aveva un’andatura lenta e claudicante e a volte non riusciva a muoversi, ma la cosa peggiore era quando si bloccava perché parlando non riusciva a trovare le parole – le fa eco Susan, anche lei intervistata da Itzkoff – si notava benissimo quanto fosse frustrante per lui. Aveva anche problemi di vista, non riusciva a valutare bene la distanza e la profondità. Era spesso confuso, prima che gli diagnosticassero la malattia pensavamo fosse ipocondriaco, ma non era così.
Lui era perfettamente cosciente del male che lo aveva colpito, ma cercava sempre di controllarsi. Nell’ultimo mese non ce la faceva più, ed è così che si è arrivati alla caduta finale.
La nostra famiglia ha sofferto tanto per la sua morte, ma l’ho perdonato, non posso rinfacciargli nulla. Lui è stato il miglior uomo che abbia conosciuto in tutta la mia vita“.
Alla Abc la terza signora Williams ha anche rivelato che Robin, solo una settimana prima di togliersi la vita, aveva pianificato di andare a fare degli esami neurocognitivi, e ha ricordato l’ultima notte passata con lui, di come le avesse chiesto se volesse un massaggio ai piedi, di come lei gli aveva risposto di no.
Quella domenica siamo andati a letto augurandoci la buonanotte, come sempre. Mi disse ‘Buonanotte, amore mio’.
La mattina dopo, Robin Williams era morto.
Ma, forse, alla luce di queste rivelazioni, l’attore era morto già da tempo, privato della cosa che più di tutte lo aveva fatto amare dal pubblico: la sua vitalità, l’allegria contagiosa e quel sorriso che noi ritroveremo comunque nella sua Mrs Doubtfire, nel geniale Patch Adams, o nella voce squillante del dj Adrian di Good morning Vietnam.
Una volta pensavo che la cosa peggiore che potesse succedere nella vita fosse quella di rimanere solo, ma non è così – è una delle dichiarazioni più famose dell’attore – La cosa peggiore è finire con persone che ti fanno sentire solo.
Robin Wiliams aveva l’abitudine di lasciare esilaranti messaggi nella segreteria telefonica degli amici. Fra questi c’era il collega Billy Crystal, che nel documentario Come inside my mind, diretto da Marina Zenovich e incentrato proprio su Williams, ha rivelato alcuni dei più divertenti.
Ciao, Bill. Sono Lord Sisley. Mi trovo in Africa, e santo cielo! dovresti essere qui.
Ci sono delle creature qui che ti adorerebbero. Ti mando tutto il mio amore. Ma non come quei giorni nel collegio maschile. Qualcosa di diverso. Qualcosa di meraviglioso. Un abbraccio. Ma se desideri, Bubbly, chiamami.
Ti viene data solo una piccola scintilla di follia. Non devi perderla.
Nella saga di Una notte al museo Robin interpretava il presidente americano Theodore “Teddy” Roosevelt. Proprio sul set del terzo capitolo sono iniziati i suoi problemi di memoria: Williams non ricordava più le battute ed era spesso preda dell’ansia.
Susan Schneider è la terza moglie di Robin Wiliams, sposata dall’attore nel 2011. I due si erano conosciuti nel 2009.
Sull’eredità di Williams si è scatenata una vera e propria battaglia legale fra la Schneider e i tre figli dell’attore: la moglie ha chiesto di avere, oltre i gioielli, anche l’Oscar vinto per Genio ribelle, mentre Zachary, Zelda e Cody l’hanno accusata di non rispettare le volontà paterne.
Robin ha avuto Zachary dalla prima moglie, la ballerina Valerie Velardi, da cui ha divorziato nel 1988. Zelda, la secondogenita, è nata invece dall’unione con Marsha Garces, come pure Cody Alan.
Zelda si è fatta tatuare un colibrì in suo onore nel 2015, perché, come ha spiegato a Vanity Fair
Sono divertenti, volubili e strani. È difficile tenerli fermi in un luogo, e papà era un po’ così. Mantenere una conversazione con lui era impossibile. Era un po’ come cercare di trattenere un sacchetto durante una tempesta, sperando che non volasse via.
Forse non tutti lo sanno, ma Robin Williams ha prestato la voce al Genio del film animato Aladdin, nella versione originale. Molte delle battute del personaggio non erano nel copione, ma furono inventate proprio da lui. La Disney apprezzò particolarmente.
Robin riuscì a sopravvivere ad un intervento chirurgico a cuore aperto nel 2009.
Un’operazione di tre ore e mezza che servì a sostituire la sua valvola aortica.
Nel 1997 vinse l’Oscar come Miglior attore non protagonista per Will Hunting- Genio ribelle, accanto a un giovanissimo Matt Damon.
Ma uno dei suoi ruoli chiave fu sicuramente quello del professore Keating in L’attimo fuggente, film del 1989 grazie al quale ricevette la seconda nomination agli Academy Awards.
Portò al cinema anche Peter Pan, nel film Hook, del 1991, diretto da Steven Spielberg e in cui fu affiancato da Dustin Hoffman.
Nel 1993 Chris Columbus lo volle per interpretare il ruolo del papà che si traveste da tata per stare vicino ai figi in Mrs Doubtfire.
Trovare la voce giusta per lei è stato difficile – ha detto Robin nell’ultima intervista rilasciata al David Letterman Show, nel 2013 – All’inizio sembravo Margaret Tatcher! Avrei terrorizzato i bambini!
Nel 1995 è invece protagonista di Jumanji.
Nel 1977 prese parte a un episodio del telefilm Happy Days, interpretando Mork, personaggio da cui il regista Garry Marshall pensò di trarre una serie che lo avesse protagonista. Williams divenne quindi l’alieno Mork nella serie Mork & Mindy, interpretando il personaggio dal 1978 al 1982.
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