"La mia abbronzatura a Mondello, dove 'non c'è Coviddi'": i volti di chi combatte il Covid
Uomini e donne, da quasi un anno lottano con tenacia contro la pandemia e l'ignoranza della gente. Sono gli infermieri che combattono il Covid.
Uomini e donne, da quasi un anno lottano con tenacia contro la pandemia e l'ignoranza della gente. Sono gli infermieri che combattono il Covid.
L’emergenza Coronavirus, oltre ad averci messo di fronte alle nostre più umane paure e fragilità, ha anche sottolineato un’altra cosa, ovvero l’eccellenza del personale ospedaliero italiano, che da quando la situazione si è aggravata, in tutta la penisola, non ha mai smesso di lavorare con impegno e passione, sacrificandosi con turni lunghissimi, praticamente infiniti, e spesso rinunciando a tornare a casa per evitare anche possibili diffusioni del virus.
Eppure, in questi lunghi mesi in cui abbiamo dovuto affrontare l’emergenza sanitaria, molti non hanno rispettato né le semplici regole di comportamento da adottare chieste dal Governo, come l’indossare la mascherina o il mantenere il distanziamento sociale, e alcuni hanno persino cominciato a mettere in dubbio l’esistenza del virus, seguendo le teorie cospirazioniste più in voga.
Quest’estate, quando, colpevolmente, in tantissimi hanno abbassato il livello di guardia, il vero tormentone è diventata la frase, infelice, pronunciata da una bagnante di Mondello, diventata anche un vero e proprio trend su Tik Tok e un meme ripreso dai social: “Non ce n’è Coviddi”. A riprova di quanto la percezione del virus, per molti, sia lontana dalla realtà.
Peccato che, negli ospedali italiani, purtroppo il lavoro di medici e infermieri sia ripreso a pieno ritmo o quasi, con i reparti Covid e le terapie intensive che, sfortunatamente, cominciano ad affollarsi di nuovo. E allora in prima linea tornano proprio loro, i membri del personale sanitario che, come già successo nella prima fase della pandemia, mostrano a tutti cosa significa avere davvero a che fare con questa terribile realtà.
Lo ha fatto Giovanni Luca D’Agostino, medico anestesista e rianimatore impegnato al CoVid Hospital Asp 6 di Palermo, pubblicando questo post.
12 ore di sole domenicale di Mondello. Alla faccia della dittatura sanitaria e dei politici che vogliono chiudere...
Pubblicato da Giovanni Luca D' Agostino su Domenica 25 ottobre 2020
Ma lo ha fatto anche Michele Grio, primario di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Rivoli, citato da Lorenzo Tosa in quest’altro post, con una perfetta risposta ai negazionisti, proponendo un provocatorio tour nei reparti di terapia intensiva per fa sì che si possa vedere con i propri occhi gli effetti del Covid19.
Eccola qui. La meravigliosa, ironica e amarissima risposta del dottor Michele Grio, primario di Anestesia e Rianimazione...
Pubblicato da Lorenzo Tosa su Domenica 1 novembre 2020
Proprio Giovanni Luca, commentando il post di Lorenzo Tosa riproponendo la stessa immagine pubblicata sul suo profilo, ha aggiunto:
Io alla fine di 12 ore di abbronzatura a Mondello. Dove, è notorio, “un cinnè Coviddi”.
Anestesista Rianimatore CoVid Hospital Asp 6 Palermo.Con rianimazione piena!Abbiamo accolto tutti. Sempre. Fino ad ora ci siamo riusciti. Anche se siamo pochi, anche se non abbiamo sempre tutti i mezzi, anche se siamo lontani ogni giorno dalle nostre famiglie, anche se rischiamo di infettarci e ammalarci a nostra volta.Senza un solo euro in più, sia chiaro, io non ho avuto alcun bonus.Potrei mettermi in aspettativa, in congedo paterno, ho due bimbi, uno di 5 anni e uno di 11 mesi, e starmene a casa, pagato e al sicuro.Non lo faccio.Per il mio giuramento.Per i malati.Per i miei compagni e colleghi.Perché amo il mio lavoro.Perché voglio contribuire al massimo.Spero che queste mie parole sincere bastino.
Tenete duro, siate prudenti, rispettate le regole.In questo modo ce la faremo.
Il loro è davvero un compito da eroi, in questo momento: eroi normali, con famiglie di cui occuparsi, genitori in ansia che magari non possono vedere, compagni, figli da cui sono chiamati a stare lontani per fronteggiare un nemico più grande di tutti loro. E le loro sono immagini che non possono non smuovere emozione, rispetto e profonda stima: perché sono i figli, le mamme, i papà, i fratelli e le sorelle di ciascuno di noi.
Anche, e soprattutto per loro, chi può deve restare a casa, rinunciando, per una manciata di giorni, alla sua routine quotidiana. Dopo tutto, di fronte a quanto stanno facendo, per tutti noi questo non è davvero un sacrificio immane.
Sfogliate la gallery per ricordare i volti di alcune delle donne che, soprattutto nella prima fase della pandemia, sono diventate il simbolo della battaglia al Covid e del lavoro enorme svolto dal personale sanitario italiano.
“Caldo, afa… Sensazione di respiro corto, goccioline di sudore che cadono dal viso, un viso che senti sciogliere sotto la maschera FP3, gli occhiali di plastica, la visiera, la cuffia; avvolta da un camice impermeabile magari di due taglie in più perché la tua non c’è, sotto questi strati un corpo che deve muoversi, deve essere veloce e scattante, deve compiere manovre in urgenza… ‘Il paziente va intubato’… ‘Sta desaturando’… ‘È ipoteso”… Corri, continui a sudare… Prepari il farmaco con due paia di guanti che ti limitano i movimenti abitudinari delle mani.
Sudi ancora e ancora dopo ore passate così non hai respiro ma non puoi bere, non puoi riposare, non puoi fare pipì vestito in quel modo… In tutto ciò l’ansia di poterti contaminare facendo i gesti che per abitudine facevi prima, questa ansia fa da sottofondo a ogni manovra, ogni pensiero, ogni azione che devi compiere, devi ripeterti costantemente di non poterti più toccare la testa se l’elastico per i capelli ti fa male, se ti prude il naso sopporti, se hai quel rebreathing insopportabile nella tua mascherina ci continui a respirare dentro ancora e ancora e finisci il tuo lavoro…
‘Va broncoaspirato’, ti avvicini, esegui le manovre per liberare le vie aeree dalle secrezioni, sei molto vicina e l’ansia di quelle goccioline malefiche aumenta quando fai procedure così invasive ma alla fine il paziente respira meglio, e anche tu inizi a respirare meglio…
Il sollievo è vedere saturazioni che salgono, pressioni che si stabilizzano, diuresi che riprendono ( le nostre missioni giornaliere)… La fatica di tenere in condizioni stabili chi stabile non è… Pazienti che sembrano usciti con lo stampino: insufficienze respiratorie gravi… E tu vai avanti e vai avanti, goccia dopo goccia di sudore, affanno, preoccupazione e qualche battuta con i colleghi per cacciare via la paura.
Paura che aleggia costantemente ma che non ferma alcuni di noi dal presentarsi a lavoro per far fronte a questa emergenza Covid19…
Lavorare in una situazione del genere e trovare ancora in rete video e messaggi (di personaggi più o meno noti ma anche di persone con cui ho semplicemente un’amicizia su Facbook) che sottovalutano il fenomeno, sentire di mercati aperti, di nuovi assalti ai supermercati mi fa porre la domanda ‘ma per CHI sto rischiando ogni turno che passa, ogni ora della mia vita il contagio?’
Per chi sottovaluta ancora la cosa, per chi dice ‘sono giovane e non mi ammalerò’ vi dico che non è così, lo tocco con mano ogni giorno e vorrei quasi facessero un bel Grande Fratello nelle nostre rianimazioni.
Alla domanda ‘Perché sto andando a lavorare?’ rispondo che moralmente lo faccio per tutte le persone che sono diventate ‘effetti collaterali’ dell’irresponsabilità altrui e obbligatoriamente perché il nostro sistema sanitario in questo momento non può fare a meno di NOI (se potessi sarei su un’isola tropicale, fidatevi).
Caldo, afa, sudore… È il momento di svertirsi, e devi essere ancora più meticoloso di quando ti vesti perché adesso sei ‘sporco’ e non devi toccare le parti pulite del tuo corpo… Il collega ti guarda… All’inizio lo fate in due perché questa pratica non era nella vostra ordinaria routine prima della crisi. Via il camice impermeabile con il primo paio di guanti, appalottoli il tutto per non toccare il davanti, non devi e non puoi sporcarti… Togli il resto (che ormai è appiccicato al tuo corpo) con altrettanta parsimonia e cura.
Segui la procedura con la costante ansia di toccare magari quel filo di capelli che è uscito per sbaglio dalla cuffia o gli occhi che bruciano e lacrimano per il caldo… Vai avanti e ti svesti, la sensazione di libertà provata è difficile da descrivere… Ti lavi quelle mani, ormai lise, dalle tante volte che le hai già passate con i prodotti a base alcolica.
Ora sei pulito ma ti senti così stanco e appiccicoso che vorresti entrare subito in doccia… Un bel sogno… Ma sai che non puoi perché magari hai altre 6 ore di turno davanti e tra mezz’ora dovrai rivestirti e ricominciare da capo quell’agonia. Ne approfitti per bere (non troppo per non rischiare di dover andare in bagno quando poi sarai vestita), mangiare uno snack e fare la pipì che ti tenevi da un’ora… Ti ‘svaghi mentalmente’ nel poco tempo che hai per stare fuori poiché sai che la persona che in piena crisi se ne è andata al carnevale a lanciare i coriandoli é nello stanzone che ti aspetta così come il povero malato cronico che ha sempre rispettato le regole!
Ma noi non facciamo queste distinzioni dentro le mura di un ospedale… Il fine ultimo è sempre la CURA nei limiti del possibile!
Allora fai un bel respiro, cerchi la forza che hai dentro, ti guardi allo specchio e ti ricambia lo sguardo un viso che non sembra nemmeno il tuo tanto è stanco e segnato… Con quel viso dovrai tornare a casa a fine turno dalla tua famiglia, esausto, con il fardello sulle spalle della responsabilità, il pensiero di essere a contatto diretto (anche se con i DPI) con il Virus ti ha portato ormai da settimane a evitare contatti con familiari fragili, amici, conoscenti, bimbi piccoli… Con la sensazione perpetua di perdere ‘pezzi di vita’ di chi ti sta intorno, restare in un limbo che ti impone il tuo ruolo in questa crisi con la consapevolezza che il giorno seguente la sveglia suonerà, interrompendo i tuoi sogni agitati per dirti che è il momento di tornare nuovamente sul campo.
Ps: Da piccola volevo fare la scrittrice di libri per bambini (forse è meglio che approfitti di questa crisi per cambiare lavoro). Spero attraverso questo post di avervi trasmesso anche un minimo delle sensazioni che proviamo ogni giorno…
-Ringrazio chi in questi giorni difficili anche con un semplice messaggio mi sia stato vicino.
Non sapevo nemmeno se allegarla… È la foto mia più brutta della storia e non sarò il top per i canoni estetici imposti dai social ma questa è realtà.”
“Sono un’infermiera e in questo momento mi trovo ad affrontare questa emergenza sanitaria. Ho paura anche io, ma non di andare a fare la spesa, ho paura di andare a lavoro. Ho paura perché la mascherina potrebbe non aderire bene al viso, o potrei essermi toccata accidentalmente con i guanti sporchi, o magari le lenti non mi coprono nel tutto gli occhi e qualcosa potrebbe essere passato.
Sono stanca fisicamente perché i dispositivi di protezione fanno male, il camice fa sudare e una volta vestita non posso più andare in bagno o bere per sei ore. Sono stanca psicologicamente, e come me lo sono tutti i miei colleghi che da settimane si trovano nella mia stessa condizione, ma questo non ci impedirà di svolgere il nostro lavoro come abbiamo sempre fatto.
Continuerò a curare e prendermi cura dei miei pazienti, perché sono fiera e innamorata del mio lavoro. Quello che chiedo a chiunque stia leggendo questo post è di non vanificare lo sforzo che stiamo facendo, di essere altruisti, di stare in casa e così proteggere chi è più fragile. Noi giovani non siamo immuni al coronavirus, anche noi ci possiamo ammalare, o peggio ancora possiamo far ammalare. Non mi posso permettere il lusso di tornarmene a casa mia in quarantena, devo andare a lavoro e fare la mia parte. Voi fate la vostra, ve lo chiedo per favore.”
“Le cicatrici sono segno di sofferenza ma anche di guarigione’. State a casa gente, state a casa. Fatelo per voi, fatelo per i vostri cari. Fatelo per gli sconosciuti, fatelo per i più deboli. Fatelo per noi. La mia vita e quella dei professionisti che lavorano con me si è catapultata in un mondo parallelo da inizio settimana… Ci facciamo forza a vicenda e ci mettiamo un sorriso sotto quelle mascherine che ci lasciano dei solchi che arrivano fino all’anima.
Vogliamo aiutare chi ha bisogno di noi, dobbiamo aiutarli, possiamo aiutarli. Aiutateci a farlo, dovete solo seguire le raccomandazioni. Ve lo chiediamo per favore.”
“Senza filtri.
Questo è il mio viso dopo 12 ore di notte, mascherine che ti tagliano il naso a ogni respiro, a ogni sbadiglio.
Un viso segnato oltre che dal dolore fisico anche dal dolore della mente, dalla forza che devi avere per stare accanto a queste persone che hanno visto cambiare, anche se momentaneamente, la loro vita.
Pazienti che hanno in viso la tristezza e la consapevolezza della malattia.
Pazienti che nonostante tutto si preoccupano ancora dei loro familiari all’esterno.
Questa esperienza anche se la sto vivendo da poco ha già cambiato la mia percezione delle cose e delle priorità della vita.
Ti rendi conto di quanto può essere bello il vento che ti arriva da una finestra mentre ti affacci sbadato.
Ti rendi conto di quanto può essere bello lavarsi le mani con l’acqua fresca.
Ti rendi conto di quante cose hai dato per scontate.”
“Gli occhi son l’unica cosa che vedo dei miei colleghi in questi giorni.
Eppure li percepisco sorridere nonostante tutta la situazione, la cuffia che pizzica la testa, gli occhiali che si appannano, la mascherina che ti soffoca, il camice che ti fa sudare e quando cerchi un po’ d’aria fresca dalle finestre ti si ghiaccia addosso, i calzali che ti sbollentano i piedi, i doppi guanti sempre sulle mani che ti spaccano la pelle.
Non puoi bere, mangiare o andare in bagno perché non puoi levarti il kit di dosso, non puoi guardare il telefono perché lo contamini, non puoi uscire dalla sala rossa MAI… Solo a fine turno.
Eppure continuiamo a ridere e scherzare fra di noi, perché l’allegria é gratuita… Non dobbiamo aver paura, non possiamo.
Non possiamo abbracciarci né baciarci, possiamo solo guardarci negli occhi e percepire i sorrisi nascosti dalle mascherine… Le mascherine tenute addosso ti lasciano un segno doloroso in faccia. Quel segno é come il virus… C’è, é presente, fa male… ma andrà via!
Voi restate a casa, noi non possiamo.”
“Ho 24 anni, sono un’infermiera e nelle ultime settimane, al posto che pensare a come farmi spezzare il cuore o a che outfit indosserà @chiaraferragni, sono anche io in ospedale a farmi il culo come tanti altri ed è per questo, che in questi giorni di turni estenuanti fatti di: ‘metti cuffia, calzari, guanti, camice, mascherina, visiera e ancora guanti e togli tutto nell’ordine giusto ma stando attenta a non toccare niente per non contaminare’, vi prego di dare una mano a noi infermieri, medici e operatori sanitari, facendo la vostra parte in questa emergenza per poter tornare il più presto possibile alla normalità.
Sono sicura che tanti di noi farebbero volentieri a cambio pur di evitare le lesioni da decubito in faccia dopo 6 ore passate con i dispositivi di protezione, la paura di poter contagiare chi ogni sera ci aspetta a casa o semplicemente lo stress fisico e psicologico di queste settimane, ma noi non possiamo stare a casa e dobbiamo fare la nostra parte quindi, per favore, cercate anche voi di fare la vostra limitando i contatti e le uscite alle cose essenziali per la sopravvivenza.
Parlo ai miei coetanei e a tutti quelli che si sentono invincibili: non lo siete, nessuno lo è in questo momento, perciò se non volete fare uno sforzo per voi stessi e per il vostro futuro, fatelo almeno per chi vi sta vicino ed è più fragile, proteggeteli come noi stiamo cercando di fare con tutti voi.”
Cosa ne pensi?