Questa denominazione è stata coniata all’inizio degli anni ’70, dopo un fatto accaduto appena fuori Stoccolma. Il 23 agosto del 1973 due ex detenuti hanno rapinato una banca e preso in ostaggio 3 donne e un uomo. Per la prima volta fu visibile a tutto il mondo una situazione che era presente anche in prigioni, altre rapine e nei campi di concentramento. Gli ostaggi contrastarono la polizia e difesero i rapitori, al punto che due donne si fidanzarono con i due assalitori. I rapinatori mostravano alcune gentilezze, che in una situazione di terrore come quella, furono interpretate dalle vittime come dimostrazioni di affetto.
Sintomi della Sindrome di Stoccolma
La Sindrome di Stoccolma non si presenta in tutte le vittime di abusi o rapimenti, perché ogni persona reagisce in un determinato modo. Si tratta di una condizione che può colpire in situazioni di estremo orrore e violenza psicologica e fisica, come manifestazione dell’istinto di sopravvivenza. I sintomi attribuiti alle vittime di questa sindrome sono:
- sentimenti di affetto e gratitudine da parte della vittima verso l’aggressore
- supporto alle idee e ai comportamenti dell’aggressore da parte della vittima
- sentimenti negativi verso la famiglia e l’autorità in carica del salvataggio
- contrasto al soccorso, e mancanza di impegno verso il rilascio
- possibile sentimento positivo verso la vittima da parte del carnefice
Ci sono sintomi che possono proseguire anche dopo la liberazione, come disturbi del sonno, spesso con incubi, fobie, flashback continui e depressione.
La Sindrome di Stoccolma in psicologia
La spiegazione che la psicologia dà alla Sindrome di Stoccolma è un meccanismo di sopravvivenza. Gli psicologi tengono a precisare innanzitutto che questa sindrome è frutto di reazioni inconsce, non di una scelta delle vittime. Pertanto è assurdo colpevolizzare le persone rapite o maltrattate, perché difendono il proprio carnefice. Una delle prime reazioni di una vittima in condizioni di rapimento è la negazione, che rappresenta una forma di rifugio psicologico primitivo.
Successivamente si perdono i sensi e il sonno. Passato poco tempo dallo shock iniziale, la vittima inizia a razionalizzare sulla situazione, mantenendo la speranza di essere salvata, perché certa che l’Autorità, solitamente la polizia, la sta già cercando. Se il sequestro e gli abusi continuano nel tempo, anche dopo minuti o ore dal momento che in quelle situazioni non si ha la percezione esatta del tempo, la vittima inizia a vedere che non accade nulla e perde la speranza, iniziando a provare sentimenti di rancore e rinnegamento della polizia.
La conseguenza inconscia di questo meccanismo è l’attaccamento e l’identificazione con il carnefice. La vittima comprende che ormai le rimane solo la possibilità di salvarsi da sola, e che la sua vita è strettamente legata alla volontà del rapinatore. La vittima si identifica con il carnefice convinta in modo inconscio di comprendere le motivazioni per cui agisce. Pertanto arriva anche a sopportare e difendere le violenze subite, perché mosse da solide ragioni.
Sindrome di Stoccolma: libri, cinema e tv
La Sindrome di Stoccolma è stata molto trattata anche nella letteratura e nell’intrattenimento. Il più noto è il racconto di Luigi Pirandello intitolato La Cattura, che descrive in modo perfetto questa sindrome dal punto di vista di Guarnotta, l’uomo rapito. Nel 2017 la scrittrice Michela Pugliese ha pubblicato un libro dal titolo La Sindrome di Stoccolma. Innamorarsi del proprio carnefice, nel quale racconta la storia di Sara, vittima di un sequestro.
Anche il mondo cinematografico ha ripreso la Sindrome di Stoccolma in diversi film. Nel 2015 è uscito il film Stockholm, Pennsylvania diretto da Nicole Beckwith che racconta di una bambina sequestrata all’età di 4 anni e rinchiusa nel seminterrato da un uomo. Dopo 17 anni quando viene liberata e torna dai genitori, li vede come estranei mentre vede il sequestratore come il padre che l’ha cresciuta. Prima di allora era già uscito il film spagnolo del 2013 di Rodrigo Sorogoyen intitolato Stockholm, che narra una storia tra due ragazzi che nasconde comportamenti e giochi di potere tipici della Sindrome di Stoccolma.
Anche nelle serie televisive è stata trattata molte volte la sindrome con riferimenti, specialmente in episodi di telefilm polizieschi o medici come Law & Order e Dr. House, o più recentemente ne La Casa de Papel, serie tv sulla rapina da parte di 8 persone alla Zecca di Stato di Madrid. Inoltre, in tv sono stati girati alcuni documentari, come quello dedicato alla vicenda di Colleen Stan su Crime Investigation TV. C’è anche chi sostiene che in alcuni cartoni animati come La Bella e la Bestia sia presente la Sindrome di Stoccolma nel comportamento tra la prigioniera Belle che si innamora del suo carnefice.
La storia della pilota Giovanna Amati
Giovanna Amati, celebre ex pilota di F1, all’età di 18 anni fu rapita dal boss della malavita Daniel Nieto. Era il 12 febbraio del 1978, quando l’allora 31enne Nieto organizzò il sequestro della figlia di Giovanni Amati, che era proprietario di una grossa catena di cinema romani. Dopo mesi di rapimento, i genitori pagarono il riscatto e Giovanna fu liberata, ma confessò di essersi innamorata del suo rapitore e lo difese in lacrime anche quando fu arrestato.
Natascha Kampusch
Natascha Kampusch è una ragazza austriaca rapita quando era ancora una bambina, e tenuta in ostaggio per 8 anni. Il carnefice era Wolfgang Přiklopil, che si è suicidato dopo la fuga. Natascha è stata vittima di sequestro, abusi e sevizie.
Lui regolava la mia veglia spegnendo o accendendo la luce, decideva se privarmi del cibo o farmi mangiare, mi imponeva periodi di digiuno forzato, decideva le razioni di cibo, fissava la temperatura nella stanza. Mi ha tolto ogni controllo sul mio corpo, mi picchiava in continuazione.
Dopo un paio di mesi passati in prigione, lo pregai per la prima volta di abbracciarmi. Avevo bisogno del conforto di un contatto, di sentire il calore umano… Mi sentivo infinitamente piccola e debole
Oggi Natascha ha scritto un libro dal titolo 3096 Tage, in italiano 3096 giorni nel quale è riuscita finalmente a raccontare la sua storia.
Colleen Stan, la "Ragazza nella Scatola"
La storia di Colleen Stan è un altro esempio nel quale si parla di Sindrome di Stoccolma principalmente perché la vittima è stata annullata completamente delle sue volontà e si è ritrovata a compiacere il volere dei suoi aguzzini, marito e moglie, per ottenere piccole libertà e cercare di sopravvivere. Rapita dai coniugi Hooker, è rimasta chiusa in una scatola sotto al letto per 23 ore al giorno, liberata solo per essere seviziata. Da qui deriva il nome che la stampa le ha dato di “Ragazza nella Scatola”. La vicenda è stata discussa e ripresa per anni, anche attraverso un documentario.
Durante la prigionia ha visitato la famiglia insieme al suo aguzzino, dicendo che era il suo fidanzato e scattando anche una foto sorridente abbracciata a lui.
Ylenia e Alessio: quando la Sindrome di Stoccolma è nella coppia
La Sindrome di Stoccolma si manifesta anche nelle coppie, quando una delle due parti subisce abusi e manipolazioni. È il caso di Ylenia, una ragazza messinese vittima di violenza da parte del fidanzato Alessio, che le ha lanciato benzina dandole fuoco. La ragazza si è salvata, e durante i primi processi contro il ragazzo, Ylenia l’ha difeso:
mi ha dato fuoco perché mi ama
L'eclatante vicenda di Patty Hearst
Il caso di Patricia Campbell Hearst ha causato grande scalpore negli anni ’70. Una storia in cui la Sindrome di Stoccolma ha portato la ragazza a unirsi attivamente alla SLA (Esercito di Liberazione Simbionese) partecipando a diverse rapine in banca. Dopo più di un anno e mezzo fu arrestata.
Il bambino Gianni catturato dalla polizia
Gianni Ferrara, un bambino di 8 anni, è stato rapito mentre era in vacanza con i genitori e portato in Venezuela da degli agenti di polizia dello Stato di Zulia, che hanno poi chiesto un riscatto alla famiglia. Gianni, nei mesi di sequestro, si è affezionato ai rapitori, portandolo ad inveire contro la polizia che l’ha salvato e contro i suoi stessi genitori, con conseguenze gravi anche una volta liberato.
Clara Rojas e il figlio nato in un momento di orrore
Nel 2008 Clara Rojas fu rapita dalle bande di guerriglia colombiane FARC. Durante la prigionia ha anche avuto un figlio con uno dei sequestratori. Oggi Clara ha scritto un libro per raccontare quel periodo atroce della sua vita, e di come decidere di tenere il figlio l’abbia salvata.
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