Perché l'America fece di tutto per non fare cantare "Strange Fruit" a Billie Holiday
Il biopic "The United States vs Billie Holiday" racconta come come l'FBI cercò di fermare la struggente canzone di protesta.
Il biopic "The United States vs Billie Holiday" racconta come come l'FBI cercò di fermare la struggente canzone di protesta.
In una sera del 1939, al Café Society di New York — il primo nightclub desegregato della città — una giovane donna di 23 anni con una gardenia bianca tra i capelli cantò per la prima volta una canzone che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. The United States vs Billie Holiday, è il racconto cinematografico di quella sera e delle altre che seguirono, di Strange Fruit e di una delle più grandi voci del jazz.
“Questa canzone aiuta a distinguere le persone a posto dagli idioti e dai cretini”, disse anni dopo Billie Holiday nella sua autobiografia La signora canta il blues, scritta (a dire il vero con qualche libertà di troppo) da un ghost writer. Certo è che Strange Fruit rappresentò davvero uno spartiacque nella sua vita: da una parte c’era lei, il frutto più vivo che mai di un’esistenza martoriata come quelle di tanti altri afroamericani, dall’altra c’era l’America bianca e privilegiata che non voleva vedere.
Il film The United States vs Billie Holiday, diretto da Lee Daniels e in uscita nel 2021, vede l’attrice Andra Day nei panni della cantante. Un ruolo intenso e drammatico, che le è valso la candidatura agli Oscar come Miglior attrice protagonista e che ha riacceso i riflettori su un capitolo vituperevole della recente storia americana. Nel 2022 il film arriva anche in Italia, anticipato dal trailer ufficiale.
Il testo di Strange Fruit fu scritto negli anni Trenta dal giovane poeta ebreo e comunista Abel Meeropol. La sua poesia, inizialmente chiamata Bitter Fruit (frutto amaro) gli era stata ispirata da una fotografia del linciaggio di due giovani uomini di colore nell’Indiana, impiccati a un albero. Una tra le tante scattate, in cui normalmente le vittime erano circondate da bianchi sorridenti che salutavano la telecamera.
Lo stesso Meeropol trasformò la poesia in una canzone, che divenne molto popolare in tutta New York. A lanciarla definitivamente fu però proprio Billie Holiday, che inizialmente tentennò; la “provò” una prima volta durante una festa privata ad Harlem e il silenzio, seguito dal boato degli applausi, la convinse ad andare avanti e cantarla al Café Society, locale simbolo dell’integrazione.
Gli alberi del sud danno uno strano frutto,
sangue sulle foglie e sangue sulle radici,
un corpo nero dondola nella brezza del sud,
strano frutto appeso agli alberi di pioppo.
Dopo la prima esibizione, fu subito chiaro che si trattava di una canzone manifesto, di una protesta sussurrata. La stessa cantante aveva stabilito una sorta di rituale: doveva essere sempre l’ultimo pezzo in scaletta, nessun cameriere poteva servire ai tavoli e tutte le luci dovevano essere spente, fatta eccezione per quella che illuminava il suo volto.
Nel biopic The United States vs Billie Holiday viene ripercorsa anche la vicenda che seguì quelle prime esibizioni. Strange Fruit dava fastidio e in molti avrebbero fatto di tutto per evitare di sentirla cantare ancora una volta. Quando persino l’etichetta di Billie Holiday, la Columbia, si rifiutò di registrarla, lei si rivolse alla piccola Commodore Records che ne incise una versione ipnotica e struggente in cui lei iniziava a cantare dopo più di un minuto di intro strumentale.
Tra i tanti che volevano spegnere la sua voce, c’era anche Harry Anslinger, primo commissario del Federal Bureau of Narcotics, oltre che noto razzista. Tra le sue assurde convinzioni c’era anche quella che i musicisti jazz fossero particolarmente pericolosi perché sotto l’influenza della marijuana.
Fu proprio Anslinger a ordinare a Billie Holiday di interrompere l’esecuzione della canzone. Al suo rifiuto, lui la fece pedinare e la incastrò con le prove del consumo personale di cocaina, che portarono al suo arresto. Uscita di prigione nel 1948, dopo diciotto mesi di detenzione, la cantante scoprì che il governo federale aveva rifiutato di rinnovare la sua licenza per esibirsi nei locali di New York.
Ricorda The Progressive che Anslinger non smise mai di perseguitare Billie Holiday. Quando fu ricoverata in un ospedale di New York nel 1959, con il fegato e i polmoni ormai compromessi, alcuni agenti si presentarono al suo capezzale, la ammanettarono, scattarono foto segnaletiche e la piantonarono, ostacolando il trattamento dei medici. Dopo pochi giorni, morì.
Mi hanno detto che nessuno canta la parola “fame” e la parola “amore” come le canto io. Forse è perché so cosa han voluto dire queste parole per me, e quanto mi sono costate.
Sfogliate la gallery per ripercorrere la carriera di Billie Holiday…
Billie Holiday nacque a Philadelphia il 7 aprile del 1915 come Eleanora Fagan, da genitori ancora adolescenti (il musicista Clarence Holiday e la ballerina di fila Sadie Fagan). Cambiò poi il suo nome in Billie come omaggio alla star del cinema muto Billie Dove e riprese il cognome del padre, nonostante avesse abbandonato lei e la madre.
Billie Holiday non ebbe un’infanzia facile: crebbe con la zia, una donna dispotica e dura, fu violentata a soli undici anni e spedita in riformatorio. Decise quindi di raggiungere la madre, nel frattempo trasferitasi a New York, e lì iniziò a lavorare in un bordello. Fu scoperta a diciotto anni, mentre cantava in un night club e nel 1933 incise i suoi primi dischi con l’orchestra di Benny Goodman.
Due anni dopo l’esordio, Billie Holiday incise una serie di registrazioni con Teddy Wilson e i membri della band di Count Basie, che contribuirono a farla diventare la più grande cantante jazz del suo tempo. I dischi registrati tra il 1936 e il 1942 segnarono sicuramente i suoi anni di punta. Soprannominata Lady Day dall’amico Lester Young, fu tra le prime cantanti afroamericane a esibirsi sul palco con colleghi bianchi.
Pur non avendo mai ricevuto una formazione classica, Billie Holiday si lasciò guidare da un profondo istinto musicale, che la portò a sviluppare uno stile di canto profondamente toccante e personale. Nata con un talento innato, fu però sfortunata nella vita privata: si sposò tre volte, ma furono tutti amori tumultuosi e di breve durata, segnati dall’abuso e dalla violenza.
Nel 1947 Billie Holiday fu arrestata per consumo di stupefacenti e trascorse un anno in un centro di riabilitazione. Non potendo più lavorare a New York, continuò a esibirsi fuori città durante i suoi ultimi anni. Pur devastata dalla dipendenza da droga e alcol, la sua voce mantenne lo stesso tono struggente fino alla fine: morì il 17 luglio del 1959, a soli 44 anni, per un’insufficienza polmonare aggravata dalla cirrosi epatica.
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