Tina Merlin, la "ragazza del Vajont" che cercò di salvare quelle 1917 persone
La storia di Tina Merlin, che aveva previsto il disastro del Vajont: nonostante avesse denunciato i rischi della diga, non venne ascoltata.
La storia di Tina Merlin, che aveva previsto il disastro del Vajont: nonostante avesse denunciato i rischi della diga, non venne ascoltata.
Erano gli inizi degli Anni Sessanta e in Friuli si stava costruendo “la diga più grande al mondo”. La giovane giornalista Tina Merlin seguiva i lavori per l’Unità e non perdeva occasione per denunciarne la pericolosità per le popolazioni locali e per il territorio. I tecnici dicevano che non ci sarebbero stati problemi e che con i suoi articoli faceva soltanto dell’allarmismo per conto dei comunisti che “non volevano il progresso sociale”. Quello che successe dopo lo conosciamo benissimo, perché resterà per sempre nella storia d’Italia come il disastro del Vajont.
Tina Merlin era nata nel 1926 a Trichiana, in provincia di Belluno. Apparteneva a una famiglia contadina povera ed era l’ultima di sei fratelli, più altri due nati dal primo matrimonio della madre. Aveva frequentato le scuole fino alla terza elementare, per poi spostarsi a Milano e lavorare come cameriera. Pian piano tutti i suoi fratelli maschi erano morti, chi di malattia, chi di lavoro, chi in guerra. E anche lei aveva partecipato come staffetta per la Resistenza, unendosi a una brigata partigiana autonoma.
Dopo la guerra si era iscritta nel PCI di Palmiro Togliatti e, grazie a un concorso letterario, nel 1951 era diventata corrispondente dell’Unità. Dopo il matrimonio con Aldo Sirena, già comandante di due brigate partigiane, iniziò a occuparsi dei problemi della montagna veneta, piagata da emigrazione, sottosviluppo, disoccupazione e spopolamento. Fu così che iniziò a tenere d’occhio i lavori per la costruzione del Vajont, come lei stessa racconto diversi anni dopo nel libro Sulla pelle viva. Lei, come la gente della valle, conosceva benissimo i rischi.
Il territorio è ormai degradato al massimo, la gente è emigrata: proprio per questo non accudisce più come un tempo alla manutenzione dei corsi d’acqua che lambiscono le piccole proprietà contadine ora abbandonate, e che ricevono mille rivoli dalle montagne disboscate e in dissesto. I torrenti straripano ovunque, vengono intasati dai materiali che precipitano a valle dalle colline dilavate dalle piogge. Gli abitanti dei villaggi montani lo sanno. Non occorre essere geologi per conoscere il territorio sul quale si è vissuti per secoli, il “giro” delle lune e dei venti, il loro combinarsi con l’umidità e la temperatura. Da tutto questo i contadini hanno sempre imparato ad affrontare la natura, a coltivare la terra, a sapere quando nascevano i figli, a prevedere possibili disastri.
Tina Merlin venne addirittura denunciata per diffamazione dalla SADE, la società elettrica che a quel tempo aveva il monopolio sull’energia elettrica nel nostro paese. Venne poi assolta, grazie alla testimonianza degli abitanti di Erto e Casso. Nonostante la sua ostinazione e le diverse interpellanze dei parlamentari, le accuse non vennero ascoltate e la diga fu costruita, nonostante le prime frane e le grandi spaccature nel terreno.
Alle 22.39 del 9 ottobre 1963, circa 270 milioni di m³ di roccia del monte Toc scivolarono alla velocità di 30 m/s nel bacino artificiale sottostante creato dalla diga del Vajont, provocando un’ondata di piena che risalì il versante opposto distruggendo tutti gli abitati lungo le sponde del lago nel comune di Erto e Casso, e si riversò nella valle del Piave, distruggendo quasi completamente il paese di Longarone e i comuni limitrofi. Vi furono 1.917 vittime, di cui quasi 500 bambini.
Lo scrittore Dino Buzzati, che scriveva per il Corriere della Sera, raccontò così la tragedia:
Un sasso è caduto in un bicchiere, l’acqua è uscita sulla tovaglia. Tutto qua. Solo che il sasso era grande come una montagna, il bicchiere alto centinaia di metri, e giù sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi.
Queste alcuni dei racconti dei testimoni di quella tragedia rimasta una piaga terribile nella storia contemporanea del nostro Paese.
Avevo spento da poco la luce quando avvertii la terra tremare – ricordò una madre – mi portai dietro le imposte e sentii un forte vento e vidi le luci e le strade emanare un intenso bagliore e poi spegnersi. Mi precipitai verso il letto e afferrai i due bambini che dormivano, […] li avvinsi a me. Sentii l’acqua irrompere, sballottarmi e mi trovai sola al campo sportivo su un pino ove l’acqua mi aveva scagliato. Il piccolo è stato ritrovato nei pressi della Rossa di Belluno, mentre la bambina nei pressi di casa mia. I miei genitori abitavano con me e sono stati trovati: mia madre al campo sportivo e mio padre a Trichiana.
Un prete invece raccontò:
Quella sera, verso le 10 e mezza, sento questo rumore di frana, apro la finestra e questo rumore aumentava in modo straordinario, contemporaneamente a questo bagliore che credevo fosse il riflettore, invece poi ho saputo, era il corto circuito dei trasformatori che ha illuminato quasi a giorno la valle. C’era poi una colonna d’acqua molto alta, che ha poi distrutto molte case, e il terremoto, con un boato tremendo, spaventoso, e poi tutto il resto. L’onda, più o meno, arrivava alla sommità del mio campanile. Dunque se Casso, nel punto più alto , è 250 metri dalla diga, senza esagerazione (l’onda) è stata verso i 300 metri.
Tina Merlin si è spenta dopo una lunga malattia a 65 anni, il 22 dicembre del 1991. Il suo libro era stato pubblicato solo pochi anni prima.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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