L’emozione all’idea di essere lì, a pochi metri dal tuo idolo; l’euforia, l’agitazione per l’attesa, la folla di gente a cui non pensi perché è tutto troppo bello.

Poi, all’improvviso, l’odore acre che si sparge, le urla, il panico e le corse della gente intorno a te, che scappa via velocemente, travolgendoti, urtandoti, spingendoti da un punto all’altro, senza che tu nemmeno capisca bene come mai.

Così, in una manciata di minuti, è nata la tragedia della discoteca Lanterna Azzurra di Corinaldo, nell’anconetano, costata la vita a cinque giovanissimi e a una mamma, Eleonora Girolimini, che lì era andata per accompagnare sua figlia, Gemma.

Quel locale stipato di ragazzini si è trasformato d’un tratto in una trappola mortale, senza via d’uscita, che ha segnato il destino di sei persone e messo a serio rischio quella di moltissimi altri teenagers, finiti in coma farmacologico, ricoverati in terapia intensiva, in lotta per sopravvivere.

Erano tutti lì in attesa del loro idolo, il trapper Sfera Ebbasta; tutti ad aspettare di vederlo entrare per mettersi all’opera, per ascoltare le sue canzoni.

Anche Eleonora, che di certo non era una sua fan, ma che era andata alla Lanterna Azzurra con il marito Paolo per far felice Gemma, la loro primogenita, la prima di quattro figli. Oggi proprio l’uomo ricorda con fatica, intervistato dal Corriere, quei momenti terribili: un locale strapieno, forse troppo, la massa di ragazzi che improvvisamente lo investe, lui che disperato urla i nomi di sua moglie e sua figlia, Gemma che gli urla “La mamma è giù!”. E poi lei, Eleonora, a terra, ormai priva di vita.

A questa mamma trentanovenne che, si saprà, ha fatto scudo con il proprio corpo alla figlia per proteggerla dall’onda di persone impaurite fino alla fine, prima di spingerla via, lontana da sé, quando ha capito che non avrebbe più potuto fare altro, adesso le altre due figlie, le gemelline Alma e Dora, hanno dedicato una lettera:

Cara mamma mi dispiace che sei morta, sei la mamma migliore di tutte e mi manchi tanto.

Poche parole, vergate con calligrafia infantile e accompagnate da disegni, fiori, farfalle; alle bambine, dice Paolo, è stato spiegato tutto dalle psicologhe, anche di come è morta la loro mamma.

La vita della famiglia Curi dovrà andare avanti, come quella dei genitori di tutte le vittime di questa tragedia assurda, inconcepibile; eppure, come fin troppo spesso accade, seguendo un’abitudine tanto diffusa quanto odiosa, il giorno dopo il dramma, e mentre ancora si cerca di ricostruire, di trovare delle spiegazioni che forse nemmeno ci sono, di rimettere insieme i frammenti di quelle vite andate distrutte, c’è chi, ergendosi a giudice supremo, comincia a distribuire le colpe.

Lanciandosi in dissertazioni sulle capacità genitoriali, sull’essere buoni padri o madri, ponendosi come esempi di eccellenza e infallibilità assolute da paragonare alla scelleratezza degli altri: e via al valzer del “Mia figlia a quell’ora di notte non sarebbe stata lì”, “Imparate a dire un no ogni tanto”, fino all’apoteosi di cattiveria e cinismo che è riassunta tutta in una frase:

Invece di fare i piagnoni, pensateci prima.

Sono talmente intrise di supponenza, malignità e ignoranza, queste frasi, che fanno persino male; perché è chiaro che in occasioni come queste dagli esseri umani esca sempre, irrimediabilmente, il peggio. Che vengano “sfruttate” per improvvisarsi come i savi della situazione, quelli che non sbagliano, quelli a cui le cose non potrebbero mai succedere.

Perché l’errore che scioccamente si commette è proprio questo: pensare che le cose siano sempre troppo lontane da noi, troppo astratte per essere vere. Se fosse vero il contrario, non esisterebbe un genitore al mondo che, anziché tacere per solidarietà ed empatia verso chi un figlio in quella discoteca l’ha perso, avrebbe l’insensibilità e la presunzione di dichiararsi un padre o una madre migliore.

È palese che chi oggi trova colpe o errori in quei genitori che hanno concesso ai figli di essere in quella discoteca nasconda la testa sotto la sabbia, e non voglia vedere come stanno realmente le cose: che non vogliano vedere, ad esempio, che in quel locale c’erano anche dei genitori, come Eleonora e Paolo, che avevano portato lì Gemma perché “Le concediamo un concerto all’anno, quella era la sua serata“.

Che questi non sono genitori incoscienti, o incapaci di dire un “no”, ma solo mamme e papà consapevoli del fatto che i figli, a volte, vanno anche ricompensati. E non solo protetti sotto strati di ovatta, compito che oltre tutto non è nemmeno facile.

Che una tragedia può succedere anche in pieno giorno, anche se si è presenti, anche se si fa di tutto per tenere i figli sotto campane di vetro infrangibile.

Quello che più di tutto chi, oggi, ha il fegato di puntare l’indice contro i genitori “irresponsabili”, non vuol vedere è che le colpe stanno da tutt’altra parte. In chi ha sparso nell’ambiente lo spray urticante che ha fatto scattare il panico, ad esempio. O in chi, come sembra emergere dai primi rilievi delle forze dell’ordine, ha probabilmente tentato di guadagnare più del dovuto stipando troppe persone in un luogo che poteva contenerne decisamente meno.

È incredibile come, per sfruttare l’opportunità di mostrarsi persone migliori, si sia capaci di perdere il senso del vero, preferendo cercare responsabilità dove non ci sono, anziché rivolgersi a chi le colpe le ha veramente.

Perché si può essere d’accordo o meno sui metodi per educare un figlio, sulla possibilità di lasciarlo rientrare tardi, si può persino discutere su che tipo di esempio sia Sfera Ebbasta per i giovani (perché c’è anche chi la colpa l’ha data a lui, bollandolo come pessimo modello per i ragazzini, tanto per capire quanto si sia spostato il focus), come ha fatto anche Crepet, a cui ha risposto il rapper Briga, come vi raccontiamo in gallery, ma una cosa è certa: queste rimangono chiacchiere che, sinceramente, sarebbe meglio esprimere nell’intimità di casa propria, se proprio non si riescono a tenere per sé.

Dire, oggi, a un genitore, che “a me non sarebbe mai successo”, significa non solo offenderlo, umiliarlo, ma anche affossarlo due volte, e volutamente. Significa voltare volontariamente il capo dall’altra parte e fregarsene dei dati oggettivi, di chi quello spray l’ha spruzzato, di chi ha venduto 1400 biglietti a fronte di soli 870 posti disponibili (lo ha sostenuto il procuratore capo della Repubblica di Ancona, Monica Garulli), di chi davvero dovrebbe avere sulla coscienza quelle sei persone. Solo per fingersi migliori, infallibili, irreali.

In gallery abbiamo ripercorso la vicenda della discoteca Lanterna Azzurra e ricordato le sei vittime della strage.

“Cara mamma, mi dispiace che sei morta” e la follia di chi insulta questi genitori
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