Il velo islamico umilia davvero le donne?
Il velo islamico per certe donne è una scelta, per altre un'imposizione. La questione è spinosa dal punto di vista socio-culturale, ma anche legislativo.
Il velo islamico per certe donne è una scelta, per altre un'imposizione. La questione è spinosa dal punto di vista socio-culturale, ma anche legislativo.
Il velo islamico è un copricapo in uso tra le donne musulmane dal forte valore simbolico e identificativo. Rimanda ai concetti di purezza e pudore, all’obbligo di essere morigerate e caste negli atteggiamenti, ma anche nell’abbigliamento.
In Occidente è un aspetto della religione islamica fortemente criticato, visto come un elemento di sottomissione della donna imposto da una cultura patriarcale e maschilista, che va a limitare la libertà della donna e la sua autodeterminazione. I pregiudizi sono tanti e il dibattito acceso: ma davvero il velo islamico è un’umiliazione per chi lo indossa? Si può davvero ricondurre tutto ai termini libertà e oppressione?
C’è tutto un movimento femminista che ragiona intorno all’argomento. Le stesse donne musulmane ne fanno parte. Non trovano affatto inconciliabile il femminismo con la loro religione (definita solitamente maschilista) e nemmeno col velo. Questo perché, ancor prima che affrontare la questione in termini di libertà-oppressione, andrebbero considerate le motivazioni che spingono le donne a indossarlo, magari a toglierlo a un certo momento delle loro vite.
Di fondo, infatti, c’è una verità innegabile: se è vero che per qualcuna è un’imposizione di derivazione familiare e culturale, per tante altre, invece, è una scelta consapevole e motivata e come tale va rispettata.
Il Corano non fa esplicito riferimento all’obbligo di indossare il velo integrale. Indica però alle donne di “coprire i loro ornamenti” e “abbassare i loro sguardi ed essere caste”. Oggi il velo è diventato oggetto di dibattito culturale e anche legislativo, per questioni legate principalmente alla sicurezza.
In Italia indossare il velo islamico non è reato. A parte alcuni divieti locali adottati da alcune città, l’unica legge in materia è la legge Reale n.152/1975 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza che recita all’art. 5:
È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. È in ogni caso vietato l’uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino.
Esistono vari tipi di velo islamico: alcuni sono assimilabili a foulard, altri a veri e propri abiti che coprono integralmente viso e corpo.
Di seguito in gallery i diversi tipi di velo e alcune testimonianze di donne che hanno fatto sentire la loro voce sull’argomento.
Questo velo copre in maniera integrale il corpo femminile compresa la faccia. Le donne che lo indossano possono vedere attraverso una retina posta all’altezza degli occhi, anch’essi coperti. Il colore tradizionale del burqa è l’azzurro. Sotto il regime talebano che ha governato l’Afghanistan dal 1996 al 2001, il suo uso è stato reso obbligatorio per legge.
Il chador è uno scialle chiuso sul collo che copre tutto il corpo, ma lascia visibile e scoperto il viso. Solitamente è di colore nero ed è diffuso soprattutto in Iran.
Questa tipologia di velo è usata molto in Occidente: copre solo testa e collo. I materiali di realizzazione sono svariati, così come i colori.
Il niqab è molto diffuso in Egitto. Può essere di due tipi. Il mezzo niqab è un velo che copre il viso ma lascia scoperti gli occhi e la fronte; il niqab integrale, invece, copre tutto il corpo e lascia una stretta fessura per gli occhi.
Più che un velo il khimar è una specie di mantello lungo fin sopra la vita. Copre i capelli, il collo e le spalle, ma lascia libero il viso.
Souad Sbai, giornalista di origine marocchina, presidentessa e fondatrice dell’Associazione Donne Marocchine in Italia di Roma, intervistata da TPI ha spiegato che, a suo avviso, l’emancipazione e la libertà delle donne non può passare attraverso l’utilizzo del velo. “Giovani musulmane lo portano solo perché sono state insultate o molestate per il fatto di non avere il capo coperto”. Anche secondo Laila Maher, ambasciatrice per la pace di origine marocchina “non esiste libertà femminile indossando il velo”.
Hanna Yusuf, studentessa ventitreenne londinese, ha acceso un faro su una realtà che non si può ignorare: il velo può essere una scelta, non sempre è un’imposizione. La giovane ha realizzato per The Guardian un video molto discusso in cui contesta il fatto che il suo velo, un semplice pezzo di stoffa in fin dei conti, possa essere considerato un simbolo di oppressione. Il suo discorso ruota intorno ad un’affermazione semplice: dare per scontato che le donne che indossano il velo siano costrette significa sminuire quelle donne che, come lei, scelgono di indossarlo. Hanna difende la sua scelta consapevole definendola una scelta femminista. “L’hijab è il mio modo per reclamare il mio corpo”, dice.
Quella che racconta Hanane El Hajouli è un’ulteriore testimonianza di un’altra realtà: chi decide di non portare più il velo. “Non è successo niente di particolare per farmi prendere questa decisione, nessuno mi ha obbligato né prima né dopo, nessuno ha cercato di farmi cambiare idea, è semplicemente accaduto”. La ragazza contesta la logica del “no velo = vittoria del femminismo”, ritenendo che i problemi veri delle donne musulmane scaturiscano da quella cultura patriarcale e maschilista in cui nascono e crescono, in cui si pensa che una donna abbia valore solo se accompagnata ad un uomo, in cui si può andare in vacanza solo col proprio marito e non di certo con le amiche. “Non bisogna discutere di velo, ma di partecipazione attiva. È questo che siamo per l’italiano medio: povere vittime inconsapevoli, donne deboli. Porti il velo? Ti hanno costretta a suon di sberle. Non porti il velo? Chissà che coraggio hai avuto a ribellarti ai tuoi genitori. Non gli viene nemmeno il sospetto che magari ai nostri genitori l’unica cosa che interessa, come a quasi tutti i genitori del mondo, è vederci felici e realizzate”.
Nell’ultimo ventennio è andato crescendo un vero e proprio movimento femminista musulmano. Queste donne si battono soprattutto per far sì che non siano solo gli uomini a poter leggere e interpretare il Corano. Ciò ha portato, nei secoli, a divulgazioni errate: i versetti sono stati messi in una luce fortemente maschilista. Secondo loro, invece, una reinterpretazione corretta svelerebbe, nell’Islam, un messaggio di parità tra donne e uomini e non di oppressione e disuguaglianza. Certamente oggi quella islamica appare all’Occidente una cultura molto diversa, ma nel dibattito che si è acceso soprattutto negli ultimi anni l’unico modo per contribuire in modo costruttivo è ascoltare le voci di tutte e ‘andare oltre il velo’. Questo è l’invito che dà nel suo libro Leila Ahmed, la quale svincola il femminismo islamico dalla sola questione del velo, invitando a guardare anche altrove e più a fondo.
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