La vera storia delle gemelline di Shining e i freak di Diane Arbus
La storia della foto che per alcuni critici ispirò Stanley Kubrick: le due gemelline di "Shining" per molti ricordavano uno scatto della grande fotografa Diane Arbus
La storia della foto che per alcuni critici ispirò Stanley Kubrick: le due gemelline di "Shining" per molti ricordavano uno scatto della grande fotografa Diane Arbus
Guardandosi intorno durante una festa natalizia nel 1966, organizzata da un club di madri che avevano avuto parti gemellari, Diane Arbus notò una coppia di sorelline. Non era la prima volta che si recava a Roselle, nel New Jersey, a caccia di soggetti identici da fotografare. Come racconta un articolo di Lithub, chiese a quelle due gemelline di posare per lei, mettendole fianco a fianco, davanti a una parete bianca. Lo scatto diventò poi uno dei più famosi della celebre fotografa e diversi anni dopo venne indicato da diversi critici cinematografici come fonte di ispirazione per creare i personaggi delle due gemelline del film Shining di Stanley Kubrick.
Un’ipotesi scartata dalla moglie del regista, che in un’intervista al Guardian disse che suo marito le aveva scelte solo perché così le immaginava nella sua testa, dopo aver letto il libro di Stephen King. Certo è, però, che Arbus e Kubrick si erano conosciuti negli Anni Cinquanta a New York, quando entrambi erano giovani fotografi alle prime armi. Condividevano già un humus semantico speculare e la capacità di ritrarre ciò che la società non voleva o non riusciva a vedere.
Nata il 14 marzo del 1923, Diane Nemerov (il suo nome da nubile) era nata in un ambiente privilegiato, guardando il mondo dalle finestre di grandi appartamenti nelle zone più ricche di Manhattan. Era cresciuta circondata da tate, cameriere, cuochi e autisti, per poi sposare a diciotto anni un aspirante fotografo di moda, Allan Arbus. Con lui aveva dato vita a un’agenzia fotografica, ma dopo la nascita delle figlie Doon e Amy qualcosa era cambiato. Aveva smesso di assistere il marito nel suo lavoro, come aveva sempre fatto, e anche di osservare la vita scorrere fuori dalla sua elegante casa, senza avere il coraggio di uscire. Macchina fotografica in mano, occhi sempre ben aperti, fuori dai rassicuranti confini domestici Diane Arbus aveva subito rivolto la sua attenzione a quelli che per la società erano solo freak: giganti, clown, nudisti, trans e gemelli, proprio come le due sorelline Colleen e Cathleen Wade.
Osservando il ritratto che più di tutti è l’emblema della sua arte, è impossibile non notare come le due bimbe siano vestite e disposte in modo da sembrare identiche, pur risultando assolutamente diverse. Se una sorride in maniera angelica, l’altra sembra guardarci mestamente. Una è ben pettinata, l’altra no, quasi come se una nascondesse la personalità segreta dell’altra. Il tema della dualità, come quella perfettamente rappresentata dalle gemelline, era infatti molto caro a Diane Arbus. Prima di lei altri avevano ritratto coppie di gemelli identici, come il grande fotografo August Sander, ma lo scopo era diverso. Diane Arbus voleva cogliere i misteri profondi dell’identità umana e per farlo si spingeva in territori socialmente “estremi”.
Le gemelline Wade, come lei le aveva fotografate, sembravano uscire da una storia di fantasmi. Eppure il loro era un ritratto tecnicamente classico, senza montaggi e manipolazioni, proprio come una foto di famiglia. Quando lo inviò ai genitori, non ottenne una reazione positiva. Gli Wade nascosero la foto e, anni dopo, ammisero di aver pensato che fosse “il peggior scatto mai realizzato delle due gemelle”. Maestra dell’unheimlich, l’espressione tedesca che indica una sensazione di disagio provata quando non ci si sente in un contesto familiare, Diane Arbus aveva imparato che era necessario entrare nelle case altrui per riuscire a raccontare delle storie. Nelle case, ma anche nei circhi, nei bordelli, nei locali malfamati o nelle case di riposo.
“Una fotografia è un segreto di un segreto”, aveva spiegato Diane Arbus. “Più cose sembra dirti, meno ne sai”. Ed è così che ci si sente ancora oggi di fronte ai suoi scatti, così immediati e così misteriosi. Non usava la fantasia per trasfigurare la realtà attraverso la tecnica, ma trovava elementi fantastici semplicemente guardando la realtà che la circondava. Il suo talento, però, venne riconosciuto solo dopo la sua prematura morte, a soli 48 anni: si tolse la vita, chiudendo per sempre il segreto che anche la sua esistenza aveva rappresentato.
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