Se le vite delle persone nere contano, perché continuano a essere massacrate?
Black Lives Matter, ovvero le vite delle persone nere contano. Ma allora perché continuano a essere brutalmente uccise dalla polizia?
Black Lives Matter, ovvero le vite delle persone nere contano. Ma allora perché continuano a essere brutalmente uccise dalla polizia?
Per molti il movimento Black Lives Matter sarà apparso una novità, ma non è proprio così: la morte di George Floyd, il 25 maggio del 2020, infatti, non ha fatto altro che riportare in auge una corrente che in realtà esisteva già dal 2013, nata sotto forma di hashtag sui social dopo l’assoluzione di George Zimmerman, il quale aveva sparato al diciassettenne afroamericano Trayvon Martin, uccidendolo, il 26 febbraio 2012.
Che cosa ci fa capire tutto questo? Se ci sono ancora neri che continuano a morire per mano della polizia (il più delle volte) o le cui morti passano spesso sotto silenzio, nell’indifferenza generale della stampa e delle procure, significa che, a distanza di sette anni, il movimento BLM ha fallito nel suo intento?
Oppure, che il razzismo è talmente radicato, connaturato al tessuto sociale americano, che per quante volte la comunità black possa alzare la voce, finirà sempre con l’essere schiacciata da una maggioranza bianca che a tutti gli effetti mantiene intatta la sua supremazia e quindi non si lascia scalfire dalle proteste?
Non è un quesito di semplice risoluzione, ma certo un problema atavico, ideologico, culturale alla base c’è, se mentre i neri continuano le loro marce di protesta per le strade delle città americane ce ne sono altri che, altrove, continuano a morire.
Il caso più recente – recente perché portato allo scoperto solo ora – è quello di Daniel Prude, trentenne con problemi mentali fermato mentre si aggirava nudo per le strade di New York, incappucciato, schiacciato a terra, soffocato, come Floyd, dal peso del ginocchio di un agente sul corpo, e morto dopo sette giorni, il 30 marzo, per le ferite riportate.
Qualcuno dirà che, nel caos generato dalle proteste del Black Lives Matter, più di un manifestante si è dedicato ad atti vandalici o criminali; il che, va da sé, è ovviamente riprovevole e ingiustificabile, ma non sufficiente per fare di tutta l’erba un fascio, come si suol dire, o per sminuire la gravità della questione, che esiste e la cui origine è probabilmente da ricercarsi nella secolare storia di disparità fra i bianchi e i neri nel Nuovo Continente.
Insomma, se è vero (e lo è) che i poliziotti americani non sono tutti “cattivi”, allo stesso modo non tutti i neri hanno usato il Black Lives Matter per dare sfogo ai peggiori istinti, o sono criminali.
Altri faranno invece notare che “anche i bianchi vengono uccisi”, assunto inoppugnabile e su cui quindi c’è ben poco da ribadire. Il problema, però, è più o meno quello che si può applicare ai femminicidi, ad esempio, e cioè le ragioni – o moventi – per cui questi omicidi avvengono e chi li compie.
A fronte della medesima situazione non è infatti normale aspettarsi la stessa reazione da parte di un criminale e di un poliziotto, quest’ultimo chiamato a rispondere con professionalità e in modo adeguato alla gravità della situazione (per intenderci, George Floyd era disarmato, Daniel Prude era disarmato, Trayvon Martin non risulta fosse armato, eppure sono stati uccisi).
Pur non esistendo dati ufficiali ed esaustivi sugli omicidi commessi dalla polizia negli USA, il Mapping Police Violence (che conteggia tutti gli omicidi commessi dalla poliziotti in servizio e non, con armi da fuoco, taser, soffocamenti) e il database del Washington Post (un archivio che tiene traccia di tutti gli omicidi commessi negli Usa, a partire dal 2015, da poliziotti in servizio solo con armi da fuoco) sono piuttosto concordi nell’affermare che, nel 2019, negli Stati Uniti sono state uccise con armi da fuoco dalla polizia 1.003 persone: 405 bianche, 249 afroamericane, 163 ispaniche, 43 altro e 145 sconosciute.
Quindi 40% di vittime bianche, 25% nere e 16,3% ispaniche (oltre alle vittime di etnia non riconosciuta). Letto così sembra quindi esserci una disparità a sfavore dei bianchi, ma il dato va contrapposto al numero effettivo di bianchi, neri e ispanici che vivono negli Usa. Il Washigton Post sottolinea infatti come, fra i neri, le vittime della polizia siano 31 per milione di abitanti, fra i bianchi 13 per milione di abitanti. Più del doppio (in mezzo ci sono gli ispanici, con 23 vittime per milioni di abitanti).
Inoltre, come detto, rispetto a questi dati mancano tutte le vittime morte non per un colpo di arma da fuoco, come Floyd o Prude.
Non si tratta solo di una questione di numeri, ovviamente, ma appare chiaro che il razzismo sia tutt’altro che un lontano retaggio di epoca coloniale, e le morti di questi anni ne sono una vivida testimonianza. Un caso emblematico è per esempio quello del diciassettenne bianco Kyle Rittenhouse che, come riporta Internazionale, dopo aver sparato e ucciso due manifestanti, è stato ignorato dai poliziotti seppure avesse il fucile d’assalto a tracolla, per poi essere arrestato il giorno dopo a casa sua.
Alla polizia un giovane bianco armato tra la folla è apparso normale, mentre ha sparato alla schiena all’afroamericano Jacob Blake solo perché si pensava stesse per prendere un coltello. Questa è la sintesi migliore che si possa dare della situazione attuale negli Stati Uniti.
In gallery abbiamo riportato alcuni dei casi di cronaca più eclatanti degli ultimi anni.
Il suo caso, e l’assoluzione del suo assassino, George Zimmermann, hanno acceso i riflettori sulle discriminazioni subite dalla comunità afroamericana e portato alla nascita del movimento Black Lives Matter. Travyon, 17 anni, tornava in serata verso casa della fidanzata dopo essere stato in un supermarket, indossando una felpa con cappuccio. Il vigilante volontario Zimmermann lo ha giudicato “sospetto”, tra i due è scoppiata una lite conclusasi con il ragazzo ucciso da un colpo sparato a bruciapelo da Zimmermann. Era il 26 febbraio del 2012.
Il vigilante è stato assolto per aver sparato per legittima difesa, secondo la Corte della Florida, sulla base della Stand your ground self-defense law, secondo cui una persona può usare la forza se esiste un ragionevole sospetto di minaccia alla propria vita.
Il diciottenne è morto il 9 agosto 2014 a Ferguson, un sobborgo di St. Louis, in Missouri, dopo essere stato colpito perché sospettato di aver commesso un furto in un negozio pochi minuti prima. Non è stato trovato in possesso di armi.
La sua morte ha provocato manifestazioni in tutti gli Usa e atti di vandalismo a Ferguson.
Il ragazzo è stato ucciso da un agente, Jason Van Dyke, con 16 colpi di pistola nel Southwest Side di Chicago, in Illinois, il 20 ottobre 2014. Aveva 17 anni.
Van Dyke disse che Laquan aveva rifiutato di posare il coltello che portava, ma le immagini registrate dalle telecamere di alcuni negozi dimostrarono che, dopo essere stato colpito, il ragazzo aveva provato ad allontanarsi dalla polizia.
Il 5 ottobre 2018 Van Dyke è stato giudicato colpevole di omicidio di primo grado e trasferito, dopo alcuni mesi in una prigione dell’Illinois, nel novembre 2019 in un carcere di stato rimasto segreto.
Aveva appena 12 anni, Tamir, quando il 22 novembre 2014 l’agente Timothy Loehmann lo uccise, a Cleveland, Ohio. Il bambino giocava con una pistola giocattolo e il poliziotto, pensando si trattasse di un’arma vera, ha sparato. L’agente non è stato perseguito penalmente.
Freddie è morto a Baltimora, Maryland, dopo essere stato arrestato e caricato su un furgone della polizia, accusato di avere con sé un coltello a serramanico, il 12 aprile 2015: il venticinquenne è entrato in coma ed è poi deceduto per il trauma alla spina dorsale, sette giorni più tardi.
I sei agenti coinvolti sono stati processati separatamente; tre hanno evitato il processo nel 2015, gli altri tre sono stati prosciolti un anno più tardi.
Il 25 maggio 2020 Floyd è stato fermato dopo le proteste di un negoziante che lo accusava di averlo pagato con una banconota falsa. Sono intervenuti quattro agenti di polizia, fra cui Derek Michael Chauvin, che ha bloccato l’uomo a terra con un ginocchio sul collo, soffocandolo letteralmente a morte.
Chauvin ha trattenuto Floyd per 8 minuti e 46 secondi, sollevando il ginocchio dal collo di George solo dopo la richiesta dei paramedici, quando l’uomo aveva perso coscienza già da 3 minuti. George Floyd venne dichiarato morto dopo essere stato condotto all’Hennepin County Medical Center.
Tutti e quattro i poliziotti sono stati prima sospesi, poi incriminati: l’accusa è di omicidio di secondo grado.
Il trentenne, con problemi psichiatrici, correva nudo per le strade di una cittadina vicino New York, quando è stato fermato dalla polizia, quindi incappucciato e schiacciato a terra per due minuti. Il tutto è accaduto il 30 marzo; Prude è morto sette giorni dopo per le ferite riportate. Solo recentemente la famiglia ha deciso di diffondere il video ripreso dalla body camera di uno dei due agenti.
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