Il 29 dicembre del 1890 il paesaggio innevato della valle del torrente Wounded Knee si tinse di rosso. Era il colore del sangue di centinaia di nativi americani, tra cui donne e bambini, uccisi brutalmente dagli squadroni del Settimo Reggimento dell’esercito statunitense. Fu il culmine di decenni di guerre civili, che avevano come scopo quello di eliminare la cultura autoctona e sottrarre terre preziose. Un massacro che ancora oggi è un simbolo della violenza perpetrata da una nazione autoproclamatasi portatrice di civiltà.
A distanza di ben oltre un secolo, dopo che in molti hanno cantato, raccontato e scritto di quel terribile eccidio, il tempo sembra aver lavato in molti anche quel residuo di senso di colpa. Se da un lato si sta ancora decidendo sulla revoca delle medaglie d’onore assegnate ai soldati responsabili, dall’altro Donald Trump ha persino osato scherzare su uno degli eventi più tragici nella storia americana, provocando un sentimento di orrore non solo nei nativi americani, ma anche in chi semplicemente non vuole dimenticare.
Come raccontato da Politico, nel gennaio del 2019 il Presidente degli Stati Uniti ha usato Twitter per dileggiare la senatrice Elizabeth Warren, chiamandola Pocahontas per via delle sue lontane origini native americane. Ha quindi preso in giro un video della candidata dem alle prossime presidenziali, postato su Instagram e realizzato in casa, invitandola piuttosto a girarne uno “da Wounded Knee invece che dalla sua cucina, con il marito vestito da indiano”.
Parole prive di tatto, che non solo perpetrano l’idea misogina della donna nativa americana, ma offendono soprattutto le oltre cinquecento tribù riconosciute in tutta la nazione. E proprio i discendenti della tribù Lakota di Wounded Knee oggi stanno ancora lottando per evitare che la terra dove avvenne il massacro, considerata sacra, sia messa in vendita e acquistata come un qualsiasi appezzamento commerciale.
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Come tutto iniziò
Tutto ebbe inizio nel 1876, quando il ministro degli Interni degli Stati Uniti d’America dichiarò guerra ai Sioux che si erano rifiutati di andare a vivere nelle riserve. La decisione era stata presa dopo aver scoperto la presenza di oro nelle Black Hills, la catena montuosa che si estende da South Dakota a Wyoming, dove da secoli vivevano le tribù native americane.
La diffusione della Ghost Dance
Oltre alla corsa all’oro, il governo statunitense aveva anche un altro motivo per tentare di eliminare i nativi americani. Si stava infatti diffondendo nelle tribù un rituale chiamato Ghost Dance, che prospettava il ritorno del Gesù cristiano nella forma umana di un nativo americano e il ritorno dei bisonti, ormai quasi estinti per colpa dell’uccisione massiccia da parte dei non autoctoni. I coloni di origine europea temevano che dietro la danza si nascondesse un nuovo incitamento alla guerra e decisero quindi di agire.
L'imboscata a Wounded Knee
Dopo oltre vent’anni di scontri sanguinosi, che avevano sterminato molte tribù locali, la notizia dell’uccisione del grande capo Toro Seduto spinse i Miniconjou, una tribù di Lakota Sioux, a cercare un posto più sicuro. Guidati da Piede Grosso, partirono quindi verso Pine Ridge. Il 28 dicembre furono però fermati dal Settimo Reggimento e condotti in un accampamento vicino al torrente Wounded Knee.
Il massacro di Wounded Knee
120 uomini e 230 tra donne e bambini furono condotti sulla riva del torrente e uccisi con le mitragliatrici. Morirono anche venticinque soldati, alcuni per fuoco amico.
I sopravvissuti di Wounded Knee
I circa cinquanta sopravvissuti della tribù vennero portati a Pine Ridge e rinchiusi in una piccola chiesa. Oggi un cartello ricorda il luogo del massacro, che per troppo tempo era stato considerato una “battaglia” e non un vero e proprio eccidio.
"Seppellite il mio cuore a Wounded Knee"
Il poeta statunitense Stephen Vincent Benét scrisse nei primi decenni del Novecento la poesia American Names ricordando proprio la tragedia di Wounded Knee, che così viene citata in un passaggio:
Io non vi sarò.
Io mi alzerò e passerò.
Seppellite il mio cuore a Wounded Knee.
Il massacro di Wounded Knee nella cultura popolare
Molti hanno cantato la storia tragica di Wounded Knee, come Johnny Cash nella canzone Big Foot, Robbie Robertson in Ghost Dance, Prince in Avalanche e i Red Hot Chili Peppers in American Ghost Dance.
Il massacro di Wounded Knee nelle canzoni italiane
Anche nelle canzoni italiane è stato raccontato il massacro. Così canta Ligabue in Gringo 94:
Dura la vita in pianura col Gringo
che conosce una legge sola: la sua
Il Gringo era riflessi,
speroni e dovere e lampi e grandi palle
E nemici tutti bavosi
e ostinati a restarsene
dentro la propria pelle
Il nostro cuore non è da seppellire
né a Wounded Knee,
né in nessun altro dove
Il nostro cuore non è da regolare.
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