Olimpiadi di Rio 2016, 6 agosto: cinque giovani donne salgono sui blocchi di partenza per le qualificazioni dei 100 metri farfalla. La nazionalità di quattro di queste nuotatrici è subito intuibile da una bandiera, mentre la quinta atleta è rappresentata solo dal vessillo del ROT, la squadra dei rifugiati. Al segnale, tutte si tuffano, ma è solo una di loro a qualificarsi ed è proprio la ragazza senza vessillo, vestita solo dei cerchi olimpici. Si chiama Yusra Mardini e ha una storia bellissima alle spalle, che lei stessa ha raccontato nel suo libro autobiografico Butterfly.
Butterfly
Una vicenda a lieto fine, iniziata però su un gommone in preda alle onde del Mar Egeo, su cui lei altri venti profughi cercavano una via di fuga dall’orrore della Siria. Ed è stato proprio grazie al suo coraggio se lei e gli altri si sono salvati dal naufragio. Da quel giorno è diventata simbolo di speranza per tutti i migranti e ambasciatrice delle Nazioni Unite. “Voglio che tutti i rifugiati siano orgogliosi di me e che si sappia che dopo ogni lungo e complicato viaggio, si possono raggiungere risultati importanti”, ha detto Yusra Mardini ai microfoni dei giornalisti, dopo la sua storica qualificazione.
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Come inizia la storia di Yusra Mardini
Nel 2015, mentre la Siria precipita nella guerra civile, tantissimi siriani cercano di fuggire in Europa. Tra quei migranti, secondo le stima circa un milione, c’è la 18enne Yusra Mardini. Sta cercando di arrivare in Germania. Eppure anche lei aveva una vita, fino a pochi anni prima: nel 2012 aveva partecipato ai Mondiali di nuoto in vasca corta e sognava di rappresentare il suo paese alle Olimpiadi di Rio 2016.
La vita spezzata dalla guerra
Con la guerra, la famiglia di Yusra perde tutto e lei non può più allenarsi. Le bombe arrivano persino dentro la piscina e molti altri atleti siriani perdono la vita. Così, insieme alla sorella Sarah, attraversa il Libano e poi la Turchia, diventando un numero come tanti suoi connazionali. Le due sorelle pagano gli scafisti per assicurarsi un passaggio su un gommone diretto all’isola greca di Lesbo: sono in tutto venti persone e molti sono bambini. Dovrebbe essere un tragitto lungo meno di un’ora, ma si trasforma in un incubo. Quando il gommone inizia a imbarcare acqua, tutti lanciano in mare le loro cose, ma la situazione non migliora. Yusra cerca di rassicurare tutti, ma non c’è tempo da perdere.
Il coraggio di Yusra Mardini e della sorella Sarah
Yusra, Sarah e due uomini si tuffano in acqua e rimangono aggrappati al gommone, per togliere un po’ di peso. Alla fine, sono proprio le due sorelle Mardini a decidere di usare le loro braccia forti e allenate per spingere la barca. Nuotano per quasi quattro ore, in piena notte, e percorrono cinque chilometri.
Mi è passata tutta la vita davanti agli occhi. Potevo morire, in quel viaggio, ma del resto ero quasi morta anche in Siria. Ho odiato quel tratto di mare, ma come nuotatrice sarebbe stato uno scandalo morire affogata.
Yusra Mardini e la nuova vita
Alla fine arrivano in Grecia, ma il viaggio non può concludersi lì. Dopo 25 giorni di cammino, le sorelle Mardini arrivano in Germania e ottengono lo status di rifugiate. Yusra non può più nuotare per il suo paese, martoriato dalla guerra, ma viene selezionata con altri nove atleti per rappresentare la squadra olimpica dei rifugiati. Inizia così la sua nuova vita, piena di speranza e di voglia di lasciarsi tutto alle spalle.
Yusra Mardini, la voce dei migranti
Yusra racconta la sua storia nel libro intitolato Butterfly e diventa Ambasciatore per l’Alto Commissariato per i Rifugiati. E non solo: incontra il Papa e i grandi della Terra per fare in modo che la sua storia serva anche a chi, come lei, sta ancora scappando.
Yusra Mardini, ambasciatrice UNHCR
Nel gennaio 2017 Yusra rappresenta l’UNHCR al World Economic Forum di Davos, dove è la più giovane. Al pubblico che la ascolta, spiega che i rifugiati hanno bisogno di speranza per il loro futuro e quello dei loro figli. “Con un po’ di cibo in corpo, i rifugiati possono sopravvivere. Ma solo se ricevono anche cibo per l’anima potranno prosperare”.
Le parole di Yusra Mardini
Non c’è da vergognarsi nell’essere un rifugiato se ricordiamo chi siamo. Siamo ancora i medici, gli ingegneri, gli avvocati, gli insegnanti, gli studenti che eravamo quando ci trovavamo nelle nostre case. Siamo ancora madri e padri, fratelli e sorelle. Sono state la guerra e le persecuzioni a costringerci ad abbandonare le nostre case per cercare la pace. Questo vuol dire essere un rifugiato. Ecco chi sono io. Ecco chi siamo tutti noi, quella popolazione senza patria che cresce di giorno in giorno. Sono una rifugiata e sono orgogliosa di battermi per la pace, l’onore e la dignità di tutti coloro che fuggono dalla violenza. Unitevi a me. State dalla nostra parte.
- Storie di Donne
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