Finora abbiamo scelto di non scendere in campo per “difenderci”, nella convinzione (ancora valida!) che dovessimo prima di tutto rimboccarci  le maniche e che i fatti fossero la migliore risposta ai detrattori.
Ma, sarà per deformazione professionale, per noi le parole contano ed è tempo di spenderne qualcuna.
Poco importa se quelli che ci infamano (attenzione, non abbiamo detto criticano) fanno parte della nutrita schiera dei frustrati del web che, in mancanza di strumenti personali di autoaffermazione, sfogano la propria pochezza e il loro livore battendo rabbiosi sulla tastiera di uno smartphone.
A questi che dire? Mancano delle basi culturali ed empatiche per andare al di là delle loro etichette in cui le donne, madri, moglie e figlie a parte ovviamente, sono spesso puttane, gli uomini animali, l’ironia equivale a stupidità e, al contrario, la critica a prescindere è sinonimo di intelligenza.

Ma il discorso cambia quando critiche sterili e illazioni nei confronti di Roba da Donne, intendiamo proprio questo webzine, arrivano da persona dotate di intelletto, siano esse persone “comuni” o personaggi più o meno noti del web, in alcuni casi addirittura professionisti del settore, che liquidano in sostanza Roba da Donne come robaccia da clickbaiting o come il prodotto della subcultura editoriale digitale.
In questo caso un confronto vale la pena aprirlo e spendere due parole, da supportare con i fatti.

Perché se in passato non sono mancati degli errori, Roba da Donne è cambiata e sta cambiando e in tanti, per fortuna, se ne sono accorti. Noi non chiediamo lodi o applausi per questo, né pretendiamo o ci interessa piacere a tutti: ma vogliamo essere giudicati per quello che siamo e per quello che stiamo facendo.
Perché il sospetto è che chi si sente in diritto di catalogarci come “robaccia” non conosca Roba da Donne oggi, cosa legittima, ci mancherebbe altro, ma che diventa ingiustificabile e poco professionale se si sceglie di portare il nostro magazine a esempio del peggio web.

Il problema, sia chiaro, non sono le critiche negative. Ben vengano perché, quando sono costruttive e argomentate, sono davvero il migliore motore per crescere. Tra l’altro in fatto di (auto)critiche noi di Roba da Donne siamo ferrati e impietosi con noi stessi – soprattutto le donne del team a dire il vero – e potremmo stilarne un elenco più lungo di quello del peggiore dei nostri haters.

Non c’è probabilmente nulla nelle critiche (fondate) che ci sono state rivolte negli ultimi mesi che non sapessimo già (dalla credibilità del nome alle pesanti ripercussioni della pubblicità sull’usabilità del nostro sito). E chi ce ne ha mosse, argomentandole, sa bene che le abbiamo accolte con gratitudine, chiedendo scuse laddove c’è stata una mancanza da parte nostra e facendoci carico di migliorie e di un cambiamento che siamo noi i primi a volere.
Ma il discorso cambia quando la critica è senza argomentazioni o basata su un pregiudizio che poteva essere applicato al Roba da Donne che fu e non è più.

È pieno il web di chi fa l’intelligente facendo processi sommari non supportati da analisi, nella migliore delle ipotesi partendo da un unico capo di accusa, – sia esso un refuso o un articolo più leggero e ironico, assunto a esempio della vacuità di tutto il progetto -,  nella peggiore da un mero pregiudizio.
E se il web è un posto peggiore è anche per colpa di chi, pur avendo gli strumenti umani e le competenze che deficitano ad altri, è convinto che criticare e polemizzare a prescindere sia sinonimo di spirito critico e libertà intellettuale.

A queste persone, che ogni tanto inciampano in giudizi e semplificazioni, a volte in buona fede a volte meno, dedichiamo queste parole:

1. Non è solo Roba da Donne

Se solo chi è senza peccato può scagliare la prima pietra, di certo non partiranno sassaiole da qui.
Di peccati ne abbiamo tanti e, in passato, Roba da Donne ha a tratti saputo rappresentare bene quel web sguaiato e sciatto che si nutre di clickbait, becero gossip con soli fini voyeuristici, bodyshaming e altre amenità.

Quando Roba da Donne nacque era un mero esperimento di alcuni pionieri del web 2.0, senza troppo controllo se non quello dell’analisi dei numeri, che cercavano di capire le leve sociali e le possibilità di monetizzazione di Facebook in un momento storico in cui nessuna o pochissime aziende vi erano presenti.
Roba da Donne fu presente sul social ancora prima che TUTTI fossero su Facebook. Anche per questo oggi il nostro numero di fan è superiore a molte testate più autorevoli.

Questa è la storia, non sempre limpida.
Ora possiamo specularci sopra, aprire polemiche su quello che è stato e che non si può cambiare (posto il fatto che stiamo facendo un doveroso immane lavoro di rettifica sugli archivi del magazine)  o discutere propositivamente su cos’è Roba da Donne oggi e cosa sarà domani.

2. Stop bodyshaming, giornalismo dell'orrore e clickbaiting

Roba da Donne oggi è il frutto di un percorso iniziato due anni fa e sfociato nella scelta di registrarsi come testata giornalistica (Tribunale di Brescia n. 11/217 del 14/08/2017).
Scelta che vuol dire, tra le altre cose, assumersi la responsabilità di ciò che si scrive, e che sarebbe utile non perseguire se si intende agire sul web da pirati.
Tra parentesi: no, non riceviamo alcun contributo statale, se qualcuno conosce la materia sa che non ne avremmo i requisiti ma, siccome la mamma degli spara bufale è sempre incinta, meglio specificare.

In quanto testata, ci siamo dotati di una linea editoriale che, banalizzandola, sintetizziamo in pochi punti:

  • Roba da Donne si rivolge a tutte le donne e vuole rappresentare tutte le infinite sfumature dell’essere donna. Senza preclusioni di orientamento sessuale, religioso, razza, età, taglia e scelte di vita.
    Vogliamo ascoltare e dare voce alle donne, non giudicarle.
  • Roba da Donne partecipa attivamente all’impegno di chi vuole costruire un web migliore, libero da fenomeni di degrado quali il bodyshaming e il cyberbullismo.
  • Roba da Donne rifiuta ogni stereotipo di bellezza o di realizzazione di una donna
  • Roba da Donne si batte contro gli stereotipi di genere che non sono, purtroppo, solo appannaggio degli uomini ma, più in generale, di una cultura maschilista che appartiene anche a molte donne.

3. Il diritto (da conquistare) di essere femministe

Intorno al recente dibattito sul “nuovo femminismo” ci sarebbe molto da dire e altre testate o progetti oltre al nostro sono stati bersagliati a questo proposito.
Ci limitiamo a esprimere il nostro pensiero rispetto ad alcune affermazioni salienti delle polemiche in corso e passate:

Non puoi essere femminista se il tuo progetto è pensato per monetizzare

Falso. I puri di tutto il mondo che sostengono questa tesi prima o poi ci diranno il segreto per campare, magari facendo qualcosa che ti piace e in cui credi, senza “sporcarti” con il “vil denaro”.
Basterebbe del resto una visita ai loro profili social per smascherarli.
Nel frattempo la scelta etica “bio” di un’azienda improntata alla sostenibilità ambientale e alla salute non è meno etica e valida se si inserisce in una logica, irrinunciabile, di profitto e cavalca logiche di mercato.

Noi, dal canto nostro, non siamo un’onlus, ma questo non toglie nulla all’etica e all’impegno morale delle singole persone che danno vita a questo progetto.

Non puoi essere femminista se i tuoi fondatori sono uomini

Falso. Peggio del maschilismo per cui “le donne valgono meno degli uomini”, c’è il femminismo di chi “un uomo non può essere femminista”, che cerca di sconfiggere una discriminazione creandone un’altra.
Il maschilismo è contro le donne. Il femminismo non è contro gli uomini. Tutti – uomini e donne – possiamo essere femministi. E dovremmo.

4. "Scrivete solo di cose frivole, parlate di cose importanti"

Effettivamente questo ci sembra proprio un tema frivolo. Come quello sul processo di Tina Lagostena Bassi o la storia di Ilde, sposa bambina italiana per volere della madre, per citarne alcuni.
Come le storie delle altre spose bambine nel mondo o la presa di posizione netta contro gli insulti alla madre che ha appena perso il proprio figlio.

Come questa testimonianza di una lettrice o questa sull’endometriosi:

Una “roba da poco conto, del resto è Roba da Donne che ti aspetti” direbbe qualcuno. Chissà perché basta un refuso o un articolo più leggero per essere definiti “pagliacci” o “ignoranti”, ma non succede mai di essere tacciati di grande serietà per un articolo scritto bene o per quelli che affrontano temi importanti in modo ponderato e documentato.

5. "Ma per favore, non siete credibili: parlate di trucchi e di smalti che è meglio"

Felici di aiutare alcune persone a sfogare le loro frustrazioni.
Sì, questo è il commento tipo sotto i contenuti seri.
A dimostrazione che i pregiudizi, più trasformisti di Madonna, pur di non morire assumono le più svariate forme: se scrivi cose leggere, “parlate di cose importanti”, se parli di cose importanti, “ma parla di rossetti e di scarpe che non puoi fare altro”.

Nella speranza che alcune persone facciano prima o poi pace con il cervello, del resto si sa:

se sei donna e scrivi per un femminile e non per il New York Times puoi parlare solo di robe di poco conto, “da donna”

direbbe qualche uomo e, purtroppo, anche più di una donna.

6. L'ironia non è mancanza di intelligenza. Farsi una risata neppure

A proposito di ironia.
Chi non ha bisogno di “apparire intelligente” sa che l’ironia è cosa per persone intelligenti.
Un po’ di leggerezza, ogni tanto, anche.

Prendere alcuni contenuti “leggeri” a dimostrazione della superficialità di un magazine e della mancanza di etica professionale e umana delle persone che vi danno vita è umanamente e professionalmente superficiale.

E fatevela una risata ogni tanto!

7. Il sesso non è una cosa sporca di cui parlare

Facciamo pace anche con il fatto che noi donne abbiamo una vagina e gli uomini un pene e non esiste un solo modo di vivere il sesso?
E, soprattutto, che non siamo divinità detentrici della verità e di cosa è giusto o sbagliato.
Altrimenti invece di essere lì a battere su una tastiera da bravi soldati dell’Inquisizione digitale saremmo oggetto di pellegrinaggi devoti e del pio traffico di santini con la nostra effige.

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8. Un tema non è MAI indecente, dipende da come se ne parla

Possiamo nascondere le nostre fobie bigotte dietro il paravento dei paladini dei valori e della morale o imparare ad ascoltare le storie degli altri, non per giudicare ma perché la diversità è ricchezza, non l’ennesima cosa da catalogare in giusto e sbagliato.

Perché ci fa tanta paura essere curiosi, rispettosi, anche ironici.
Perché appiccicare etichette agli altri se odiamo quelle che gli altri ci mettono addosso e non ci rappresentano mai.

9. Prima di commentare leggere l'articolo, grazie

Amen

10. A quelli che "ignoranti, capre": l'ignorante è chi insulta colui che ha fatto un refuso

È più ignorante chi fa un refuso o chi insulta chi ha commesso un refuso?

Senza risparmiarsi spesso in toni ed epiteti nella perenne convinzione che ciò che si scrive sul web sia immune a qualsiasi responsabilità?

Gli errori (leggi refusi, sviste e, purtroppo, anche eventuali lacune grammaticali di un singolo) capitano a chi lavora e ci mette la faccia.
Farli notare in modo educato e costruttivo al fine di permetterne la correzione è cosa gentile di chi possiede senso civico e aiuta a migliorarsi.
Le sassaiole mediatiche e gli insulti camuffati da lezioni di vita sono materia per ignoranti.
Non rendono migliori chi le riceve, né tanto meno chi le fa.

11. Responsabilità: è di chi scrive e di chi commenta

Posto che nessuno impone di seguirci, ricordiamoci che il web è, a tutti gli effetti, vita reale.
Ognuno è responsabile delle parole che si scrivono.
Per citare Stefano Benni:

Bisogna assomigliare alle parole che si dicono. Forse non parola per parola, ma insomma ci siamo capiti.

Vale anche per quelle che si scrivono.

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