Il Covid mette in pericolo le ragazze: 100 milioni rischiano di diventare spose bambine
A fronte dei numeri positivi degli ultimi anni, la pandemia di Covid potrebbe mettere a rischio matrimonio 100 milioni di bambine in tutto il mondo.
A fronte dei numeri positivi degli ultimi anni, la pandemia di Covid potrebbe mettere a rischio matrimonio 100 milioni di bambine in tutto il mondo.
*** Aggiornamento del 23 settembre 2021 ***
Il Covid potrebbe peggiorare la situazione per molte giovani donne in tutto il mondo; è l’allarme lanciato dall’Unicef nel report pubblicato nel marzo del 2021, in cui si legge che i matrimoni combinati con ragazze minorenni potrebbero aumentare del 10%, a causa della pandemia: circa 100 milioni di giovani potrebbero essere costrette al matrimonio nei prossimi 10 anni, e il numero potrebbe crescere di altri 10 milioni, con un picco previsto tra il 2021 e il 2024, a causa della crisi economica e sociale che sta attraversando il pianeta.
Secondo l’Unicef sono circa 650 milioni le ragazze sono state costrette a sposarsi in età infantile, ma la chiusura delle scuole, la recessione economica, la diminuzione degli aiuti umanitari e la mancanza di molti servizi di assistenza alle famiglie rischiano di veder aumentare notevolmente il numero, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, e nonostante i grandi passi in avanti compiuti in questi ultimi anni per arginare una piaga terribile come quella delle spose bambine.
*** Articolo originale ***
Gli appelli e le mobilitazioni di ONG, associazioni e dei leader dei più importanti Stati al mondo si sono moltiplicati nel corso degli anni, ma sembrano essere ancora insufficienti per arginare ed eliminare del tutto le situazioni di disagio, violenza, barbarie cui milioni di bambine, spesso neppure adolescenti, sono sottoposte quasi quotidianamente nei loro Paesi di origine ma anche in Occidente.
I dati che emergono dal dossier InDifesa 2019 di Terre des Hommes, in occasione dell’International Day of the Girl Child, la Giornata Mondiale dei Diritti delle Bambine e delle Ragazze (11 ottobre) istituita tramite Risoluzione ONU 66/170 del 19 dicembre 2011, e da altre associazioni internazionali, mostrano come sia necessario più che mai promuovere i diritti delle donne e l’emancipazione di molte giovanissime ancora relegate al ruolo di semplici schiave sessuali, di spose bambine o di semplici procreatrici.
Nessuna prospettiva professionale, per loro, nessuna istruzione, questi milioni di bambine e ragazze sono destinate a essere date in sposa prestissimo, spesso a uomini molto più grandi di loro, per fare figli e occuparsi della casa.
1 bambina su 5 viene data in sposa a uomini spesso molto più grandi di lei, a causa della povertà o di pratiche sociali discriminatorie, con conseguenze devastanti sulla vita delle giovani e su quella dei loro figli. Quella nella foto, Rawan, è morta a soli 8 anni per le lesioni interne riportate durante la sua prima notte di nozze con il marito quarantenne. Il suo non è un caso isolato, purtroppo le bambine o adolescenti che perdono la vita per questo sono molte.
Oggi, una sposa bambina su tre vive in Africa, mentre 25 anni fa questa percentuale era di una su 72.
Il 76% di ragazze tra i 20 e i 24 anni in Niger si sono sposate prima dei 18 anni, il 68% nella Repubblica Centrale Africana, il 67% in Chad, il 52% in Sud Sudan, Burkina Faso, Mali, Guinea, il 48% in Mozambico.
Proprio da questo Paese arriva però una bella notizia, dato che il 15 luglio 2019 è stata approvata una legge che rende illegali i matrimoni precoci e che punisce con il carcere non solo chi sposa una ragazza con meno di 18 anni, ma anche chi celebra il matrimonio e chi lo organizza, compresi i genitori. È un piccolo passo, ma pur sempre significativo.
Tra i risvolti drammatici legati ai matrimoni precoci, impossibile non evidenziare gli aspetti legati alle possibili gravidanze delle bambine/ragazze: almeno 50 mila ragazze tra i 15 e i 19 anni muoiono ogni anno a causa di complicazioni durante la gravidanza e il parto. Inoltre il rischio che un bambino, figlio di una ragazza sotto i 18 anni, muoia nel primo anno di vita è del 60% più alto rispetto a uno nato da una donna che abbia superato i 19 anni.
Ogni anno, riporta Terre des Hommes, circa 21 milioni di ragazze dai 15 ai 19 anni e 2 milioni di ragazze sotto i 15 rimangono incinte. Di loro almeno 18,5 milioni diventeranno mamme appenabambine, con 2 milioni e mezzo di loro che ancora non avranno ancora compiuto i 16 anni.
Il 90% di queste gravidanze avviene nei Paesi con un reddito medio basso, soprattutto in Africa, Sud Asia, America Latina e Caraibi.
Altro aspetto di non poco conto, è il fatto che le bambine destinate a sposarsi in giovane età non riescano a ricevere un’istruzione appropriata, contribuendo irrimediabilmente alla privazione di risorse importanti per l’economia del paese di origine, data dalla mancanza della componente intellettuale femminile, provocando un grosso impatto economico nella vita della comunità stessa.
Nonostante l’incidenza del fenomeno delle “spose bambine” sia diminuita nel corso degli ultimi 30 anni, i matrimoni precoci restano diffusi in diverse regioni del mondo, soprattutto nelle zone rurali e tra i ceti più poveri.
Alcune spose bambine sono i soggetti più emarginati e vulnerabili della società, spesso costrette a una vita di totale isolamento, allontanate troppo presto dalla famiglia di origine, escluse dall’istruzione, deprivate anche della possibilità di poter andare a scuola e di avere relazioni con i coetanei e con il resto della comunità.Oggi, nel mondo, 62 milioni di ragazze sono escluse dall’educazione e più di 3 milioni di donne e dei loro bambini potrebbero essere salvati ogni anno investendo nella sanità e nella nutrizione”.
Secondo il dossier InDifesa, 130 milioni di bambine e ragazze non va a scuola, mentre il 50% che la frequenta con una certa regolarità non raggiunge il livello minimo di competenze in matematica e letteratura.
Tante sono anche le ragazze che rientrano nei cosiddetti NEET – chi non ha e non cerca un impiego e non frequenta una scuola né un corso di formazione o di aggiornamento professionale – : nella fascia di età compresa tra i 15 e i 29 anni, infatti, le ragazze hanno una probabilità tre volte superiore rispetto ai coetanei maschi di essere escluse dal mercato del lavoro e di non essere coinvolte in percorsi formativi.
Secondo i dati emersi da uno studio dell’Organizzazione mondiale per il lavoro addirittura il 31% delle ragazze tra i 15 e i 29 anni rientra nella categoria dei NEET, a dispetto di un 16% maschile e con punte del 41% nei Paesi del Medio Oriente e in Nord Africa. Eppure, queste ragazze vorrebbero trovare un impiego, almeno nel 70% dei casi.
Senza contare che più di un terzo (il 35%) delle ragazze tra i 15 e i 29 anni ha dovuto lasciare il lavoro per motivi familiari, contro il 7% dei coetanei maschi.
A causare l’allontanamento da scuola delle bambine, però, non sono solo i matrimoni precoci, ma un atteggiamento di discriminazione generalizzato in molti paesi, che tende a favore ancora i figli maschi.
Secondo Unicef, uno dei primi motivi per cui le bambine sono escluse dall’istruzione riguarda la povertà familiare: per una famiglia a basso reddito, infatti, ogni figlio che va a scuola rappresenta una spesa per il bilancio familiare, e al contempo un aiuto in meno per le incombenze domestiche.
Se poi la scuola diventa un costo netto, per via delle tasse di iscrizione o delle spese per i libri, l’uniforme o i pasti, spesso una famiglia si trova a scegliere quali figli debbano continuare a studiare e quali no, ed è probabile che, di fronte a un fratello e a una sorella, i genitori preferiscano concedere l’istruzione al figlio maschio, convinti che questo sia l’unico investimento che renda a lungo termine.
Le bambine sono sfavorite anche da circostanze esterne al mondo della scuola, ad esempio la mancata registrazione anagrafica alla nascita, che si traduce spesso in una successiva impossibilità di essere ammessi nel sistema educativo nazionale. E le bambine costituiscono la maggior parte dei circa 50 milioni di esseri umani afflitti da questa condizione di “inesistenza legale“. Insomma, sono vere e proprie bambine fantasma.
A proposito di matrimoni precoci e gravidanze, spesso ad aggravare la situazione concorrono leggi arretrate che vietano a una ragazza che ha dato alla luce un figlio di tornare a frequentare la scuola.
Fra le ragioni per cui la famiglia può preferire che una bambina non vada a scuola vi sono anche le preoccupazioni per la sua sicurezza o per l’onorabilità familiare: se a scuola si dovessero verificare episodi di bullismo o punizioni corporali degli allievi, ma anche se mancano insegnanti donne o servizi igienici separati, i genitori – soprattutto se di cultura tradizionalista – tendono a ritirare le figlie da scuola.
Quando i maestri invece applicano discriminazioni sessiste, ad esempio tramite norme punitive o derisorie nei confronti delle bambine, quando i testi di studio abbondano di stereotipi sui ruoli dei maschi e delle femmine, o semplicemente ignorano gli interessi culturali e sociali delle alunne, allora possono essere loro stesse a decidere di abbandonare la scuola, non trovando un terreno fertile per costruire le proprie ambizioni e, soprattutto, un luogo dove sono rispettate.
Secondo l’Organizzazione Mondiale per il Lavoro circa 64 milioni di bambine tra i 5 e i 17 anni sono costrette a lavorare, contro 88 milioni di ragazzi. Tra i 15 e i 17 anni c’erano, nel 2016, 23,5 milioni di maschi lavoratori e 13,6 ragazze, impiegati soprattutto in agricoltura e industria. Tuttavia, questi dati spesso escludono il lavoro domestico, da sempre prerogativa femminile: su un totale di 54 milioni di bambini che svolgono lavori domestici – non retribuiti – per più di 21 ore a settimana, 2/3 sono femmine.
Ciò significa che, a livello globale, le bambine di età compresa tra i 5 e i 14 anni trascorrono 550 milioni di ore ogni giorno in attività di cura della casa, ben 160 milioni di ore in più rispetto ai loro coetanei maschi.
Inutile ricordare, da ultimo, il peso non indifferente di conflitti civili, guerre ed emigrazioni rispetto all’istruzione di queste bambine.
Conflitti e movimenti migratori forzati, lo dicevamo, espongono ulteriormente le ragazze e le bambine a povertà estrema, abusi, violenze, sfruttamento, negando loro l’opportunità di andare a scuola e accedere a servizi sanitari di qualità.
Il rapporto di Save the Children conferma che, in un contesto di guerra, la probabilità che le bambine possano perdere la vita è 14 volte superiore rispetto agli uomini nelle stesse situazioni. In Siria, in particolare, 5,8 milioni di bambini vivono ancora sotto i bombardamenti, 2,3 milioni di minori sono fuggiti dal Paese e le bambine e le ragazze vengono spesso costrette dai propri genitori a sposare uomini più grandi perché non possono più occuparsi di loro, generandone la disperazione che in alcuni casi le porta addirittura al suicidio.
Secondo il nuovo rapporto di Save the Children in Yemen, soltanto nei primi quattro mesi del 2019 più di 400 minori sono già stati uccisi o sono rimasti feriti.
In totale, circa 6.500 bambini sarebbero rimasti uccisi o feriti dai bombardamenti.
Nel mondo circa 200 milioni di donne e bambine hanno subito mutilazioni genitali femminili; tra le vittime, 44 milioni sono bambine fino a 14 anni, e 3,9 milioni di ragazze sono a rischio ogni anno. In questa drammatica forma di violenza rientrano più di 600.000 donne e ragazze in Europa e oltre 80.000 in Italia. Secondo un report Unfpa, però, la situazione potrebbe peggiorare a causa della pandemia, e potrebbero verificarsi due milioni di casi solo nel prossimo decennio che sarebbero stati altrimenti evitati, e la riduzione di 1/3 dei progressi finora ottenuti.
Nel mondo sono più di 40 milioni le vittime di tratta, come riporta Repubblica. Tra queste, il 72% sono donne, mentre il 23% sono minori. Il 60% viene sfruttato sessualmente, il 34% nel lavoro forzato.
A causa della pandemia inoltre la prostituzione si è sposata dalla strada all’indoor e all’online, rendendo le vittime ancora più inavvicinabili. Il fenomeno ha interessato anche l’Italia, dove, tra le oltre 2000 persone prese in carico dal sistema anti-tratta nel 2019, la forma più diffusa di sfruttamento resta proprio quella (84,5%), e ha come vittime principali donne e ragazze (86%). Una vittima su 12 ha meno di 18 anni, il 5% meno di 14.
Allo stesso tempo sono ancora molte le superstizioni e le discriminazioni culturali che hanno come vittima la donna, a partire dal loro ingresso simbolico nell’età adulta, con l’arrivo delle mestruazioni.
Il 2018 ha per fortuna segnato un arresto tra i reati che maggiormente colpiscono le bambine e le ragazze. Calano la prostituzione minorile -3% (di cui il 63,77% composto da bambine); detenzione di materiale pornografico -13% (l’87,34% bambine); violenza sessuale -6% (qui l’89,48% è composto da bambine); corruzione di minorenne -14% (è di sesso femminile il
73,48% delle vittime) e violenza sessuale aggravata-1% (l’83,81% femmina).
A crescere sono però i reati di “atti sessuali con minorenne” (+1% con il 77,14% delle vittime di sesso femminile) e di pornografia minorile (+3% e il 79,90% di bambine e ragazze). I dati, secondo quanto riporta il rapporto UNICEF, restano comunque preoccupanti, visto che una ragazza su 20 fra i 15-19 anni – circa 13 milioni – ha subito uno stupro nella sua vita.
Riguardo al nostro Paese, secondo quanto riporta l’Istat, nel 2020 le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019, sia per telefono, sia via chat (+71%), con picchi ad aprile (+176,9% rispetto allo stesso mese del 2019) e a maggio (+182,2 rispetto a maggio 2019).
Rispetto agli anni precedenti, sono aumentate anche le richieste di aiuto delle giovanissime fino a 24 anni di età (11,8% nel 2020 contro il 9,8% nel 2019) e delle donne con più di 55 anni (23,2% nel 2020; 18,9% nel 2019). Aumentano le violenze da parte dei familiari (18,5% nel 2020 contro il 12,6% nel 2019) mentre sono stabili le violenze dai partner attuali (57,1% nel 2020).
Ultimo punto, ma non meno importante, è l’accesso alla tecnologia: nel mondo, dice Terre des Hommes, le donne hanno meno accesso a Internet rispetto agli uomini, con un gap di 12 punti percentuali, soprattutto nei Paesi più poveri o tra le fasce meno abbienti della popolazione.
L’impossibilità di accedere alla Rete si lega ad altri fenomeni, ad esempio rispetto all’insufficiente informazione sull’educazione sessuale. Internet, come si sa, presenta comunque anche una serie di rischi: il 99% degli adescatori online è di sesso maschile, le prede sono per il 75% ragazze, più esposte anche alle pratiche di sexting o cyberbullismo.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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