"C'è un paio di scarpette rosse": per non dimenticare l'Olocausto

Il Giorno della Memoria dovrebbe essere celebrato quotidianamente, non solo il 27 gennaio: teniamo vivo il ricordo della Shoah per evitare che accada ancora.

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Il Giorno della Memoria non dovrebbe essere celebrato solo il 27 gennaio. Un giorno all’anno non è abbastanza per tener vivo il ricordo dell’Olocausto, una delle pagine più nere della storia dell’umanità.

La memoria collettiva va nutrita con parole, immagini e testimonianze: perché è al ricordo e alla consapevolezza che va affidata la certezza di non dimenticare le quasi 17 milioni di persone a cui, tra il 1933 e il 1945, venne negata la vita e la dignità.

La memoria è preziosa e salvifica perché evita di farci cadere nel baratro dell’indifferenza, soprattutto nel periodo storico che stiamo vivendo, un’epoca in cui Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di concentramento, è oggi bersaglio di continue campagne d’odio che hanno costretto il prefetto di Milano ad assegnarle la scorta.

Tutti noi, quotidianamente, possiamo fare qualcosa per non dimenticare e per evitare che – ancora una volta – odio, indifferenza, razzismo, discriminazione e xenofobia prendano il sopravvento.

«L’indifferenza è più colpevole della violenza stessa. È l’apatia morale di chi si volta dall’altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e altri orrori del mondo. La memoria vale proprio come vaccino contro l’indifferenza». A dirlo è Liliana Segre e, soprattutto in questi giorni, non possiamo che condividere le sue parole, facendole nostre.

Nel nostro piccolo abbiamo affidato la memoria dell’Olocausto a una poesia di Joyce Lussu, intitolata “C’è un paio di scarpette rosse“.

Ve la proponiamo qui sotto e recitata nel video che trovate a inizio pagina.

C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede
ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”.

C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio
di scarpette infantili
a Buchenwald.

Più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald.
Servivano a far coperte per i soldati.
Non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas.

C’è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald.
Erano di un bimbo di tre anni,
forse di tre anni e mezzo.
Chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni,
ma il suo pianto
lo possiamo immaginare,
si sa come piangono i bambini.

Anche i suoi piedini
li possiamo immaginare.
Scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perché i piedini dei bambini morti
non crescono.

C’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald,
quasi nuove,
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole…

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