"Le emozioni non si giudicano": 3 cose vere di Irene Facheris
Sull'importanza di non giudicare e di ascoltare: intervista a Irene Facheris.
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"Sono qui oggi perché sono gay" il coraggioso discorso di Ellen Page
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La sua casa è un set Instagram friendly. Ma questo non significa che sia finta. Anzi.
È come i suoi spazi social: confezionati bene, ma soprattutto carichi di contenuto.
Qui tutto parla di parità, gender equality, body positive, sessualità, rispetto, cultura, dialogo: i libri, ordinati nella libreria bianca, come i quadretti di foto e scritte appesi ai muri. E poi ne parla lei, Irene Facheris, formatrice, presidente di Bossy e su You Tube autrice della rubrica Parità in Pillole.
Giriamo il video: buona la prima. È sorprendente come le parole le escano chirurgiche e diano voce a pensieri complessi senza incespicare mai. Diresti che per lei sia un processo semplice, e forse ora lo è, ma è chiaro che sia figlio di un lavoro pazzesco, di studio e di un’esigenza instancabile di parlare, riparlare e straparlare di temi articolati e spinosi fino a renderli chiari ed evidenti agli altri e a se stessi.
Ci racconta tre cose vere di sé (vedi il video) e dentro c’è tanta vita sua, ma che si mette al servizio degli altri. Perché raccontare le tue debolezze, le volte in cui ti sei sentita inadeguata o ancora ti ci senti, i traguardi che ti sei stupita di essere riuscita a raggiungere, se sei una persona come Irene, significa davvero avere l’occasione di ispirare tanti ragazzi là fuori a mettersi in gioco, a credere in se stessi e a imparare ad amarsi.
Spenta la telecamera, parliamo di come è successo che, da formatrice, ha scelto di occuparsi di questi temi online.
Avevo un canale YouTube e mi sono resa conto che i commenti che ricevevo in quanto femmina erano ben diversi da quelli indirizzati agli youtuber maschi.
Se il video di un ragazzo non piace gli viene detto che “quel video fa schifo”, se il video di una ragazza non piace le viene detto che “lei fa schifo”, che è un “cesso”.
Oppure, al contrario, se piace, i complimenti che le arrivano sono spesso apprezzamenti sessuali e non sul contenuto e, spesso, non sono neppure complimenti.
Ho capito che c’era bisogno di spazi in cui parlare di questi temi.
Così nascono Bossy e Parità in Pillole, ma allora perché il tuo primo libro Creiamo cultura insieme, non parla, se non trasversalmente, di femminismo, gender equality, etc…
Perché tra i commenti che ricevo ce ne sono anche altri. Quelli di chi mi scrive, in risposta a un mio video, “è impossibile che ti sei sentita così”, “non è vero che hai provato questa emozione”. Ho capito che dovevo partire dalla base.
Dal 2013 sono formatrice e mi occupo di soft skill, quindi della capacità di entrare in relazione con gli altri, ascoltare veramente qualcuno, e vado in giro a dire che le emozioni sono sacre perché non si possono scegliere, quindi non è che scelgo di sentirmi in un modo o nell’altro, mi ci sento e basta. Non mi puoi dire che è esagerato, perché non ho scelto io l’entità.
Stessa cosa per i bisogni: io non scelgo che bisogni avere, quindi il bisogno in sé non può essere giudicato, al massimo si può giudicare il comportamento che io ho messo in atto per soddisfare quel bisogno.
Da qui l’idea del libro Creiamo cultura insieme: finché non siamo d’accordo sul fatto che la realtà non è oggettiva, che ognuno ha un punto di vista, non si può parlare di niente, né di politica, né di femminismo, ma neanche di sport, perché ci mancano le basi per riferirci a un essere umano con il rispetto che merita un essere umano.
C’è una figura maschile, cui fai riferimento spesso, ed è quella di tuo papà che, peraltro, via social ti manda dichiarazioni bellissime tipo “Grazie per avermi insegnato a essere femminista”.
Lavoro con mio papà. E queste cose – i bisogni non possono essere giudicati, le emozioni sono vere per definizione -, me le ha insegnate lui.
È stato un gran culo: non mi sono mai mai mai sentita giudicata né da lui, né da mia mamma, che comunque fa anche lei questo lavoro, anche se è più focalizzata sul corpo e sulla comunicazione non verbale.
Sono cresciuta in una famiglia che ha sempre fatto volontariato, attivismo e mi ha cresciuta nell’ottica che devi interessarti alle persone, ma fregartene dei giudizi che ti vogliono ingabbiare
Il confronto con mio papà è molto utile perché lui era uno che, fino a qualche anno fa, era assolutamente convinto, nonostante sia la persona più intelligente che conosca, di cose tipo “cucinare cucina la mamma”, “pulire casa pulisce la mamma” e da quando io ho cominciato a occuparmi di questi temi c’è stata un’educazione al contrario e ora per lui non è più così.
Stesso discorso per quanto riguarda le sue idee in fatto di omosessualità e di tutta la realtà transgender. Lui è molto cattolico e, sebbene sia sempre stato una persona intelligente e non ha mai detto “bruceranno all’infermo”, proprio perché è la stessa persona che va in giro a dire “le emozioni non si giudicano e quindi è evidente che non posso giudicare un essere umano per la sua sessualità”, aveva riserve sulla questione unioni civili, adozioni, etc.
Però anche in questo caso si è messo in discussione. Lui parte da un pregiudizio positivo nei miei confronti, perché mi considera una persona intelligente e quindi pensa “se questa persona, che io considero intelligente, mi sta dicendo queste cose, io quanto meno la ascolto e poi provo a interrogarmi, a chiedermi quanto le mie convinzioni siano salde e quanto possano vacillare.
Questo è il principio del fare cultura insieme: ascoltare l’altro e interrogarsi.
Ci hai lasciato piena libertà di girare il video ovunque in casa tua, con un solo veto: non riprendere le foto – private – che sono sopra la testata del tuo letto.
Parliamo del diritto alla vita privata quando sei un personaggio pubblico.
Qualche anno fa postavo qualsiasi cosa della mia vita privata, poi qualcuno ha messo in giro voci davvero terribili e ho detto basta: dal 2015 non dico più niente, soprattutto della mia vita amorosa.
Voglio che sia molto chiaro che io non sono la sorella maggiore, l’amica: se la mia migliore amica non mi dice qualcosa di importante io magari le dico “perché non me l’hai detto?”. Se io non ti dico con chi esco non è un tuo diritto saperlo, non è un tuo diritto sapere nulla sulla mia vita. Io sui social porto un contenuto, è quello che ti deve o meno interessare.
Mi dà fastidio quando mi chiedono cose tipo “sei fidanzata?”. Perché non è che io mi sono scordata di dirvi se sono fidanzata o no: evidentemente se non lo dico è perché scelgo di non dirlo.
A marzo (2019, ndr) inizierai anche una nuova rubrica su Roba da Donne, che si chiamerà Sui generi(s), dove parlerei dei temi a te cari.
Questa rubrica su Roba da Donne è una nuova sfida per me: potrò parlare a un target che non è quello dei giovanissimi che già mi seguono ed è un pubblico per certi versi più difficile. I ragazzi sono molto aperti, disposti ad ascoltare idee e cambiarle: un adulto spesso ha convinzioni radicate ed è meno disposto a mettersi in discussione.
Il mio obiettivo sarà quello di provare a dire a chi è convinto di qualcosa, senza entrare in casa degli altri, ma bussando e con estremo rispetto ed educazione, “ma hai mai provato a guardare questa cosa da questo punto di vista?”.
Noi, inutile dirlo, pensiamo che sia una grandissima occasione per tutti.
Giornalista professionista e responsabile editoriale di Roba da Donne, scrive di questione di genere. Per Einaudi ha scritto il saggio "Libere. Di scegliere se e come avere figli" (2024). È autrice di "Rompere le uova", newsletter ...
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