Citazioni di Francesco Petrarca
Sono posseduto da una passione inesauribile che finora non ho potuto né voluto frenare. Non riesco a saziarmi di libri.
Scrivendo un giorno al mio Socrate io mi doleva che l'anno del secol nostro 1348, per la morte di tanti amici, tutte quasi mi avesse rapite le consolazioni della vita: e ben mi ricorda quanti furono allora i miei lamenti e le mie lagrime. Ora che far dovrò in questo anno sessantunesimo, che non solo di ogni altro tesoro, ma di quello che sopra tutti m'ebbi prezioso e carissimo, di Socrate mio, m'ebbe spogliato?
Solo al medico è conceduto dar morte agli uomini impunemente.
[su Richard de Bury] ... uomo di vivace ingegno, esperto abbastanza di lettere [...] che fin dai primi anni fu delle riposte cose curiosissimo indagatore... Ed egli [quando gli chiesi notizie dell'isola di Tile] o che sperasse potermi mantener la promessa, o che vergognasse di confessare la propria ignoranza [...], o che per avventura (né vorrei crederlo) sentisse invidia dell'aprirmi questo segreto, risposemi che avrebbe sciolto il mio dubbio quando fosse tornato alla sua patria ed ivi avesse potuto consultare i suoi libri, de' quali aveva copia tragrande.
I più grandi re del mio tempo mi vollero bene e mi onorarono il perché non lo so; è cosa che riguarda loro e con certuni ebbi rapporti tali che in certo qual modo erano loro a stare con me; e dalla loro grandezza non ebbi noie, ma molti vantaggi.
Mi travagliò quand'ero molto giovane, un amore fortissimo; ma il solo, e fu puro; e più a lungo ne sarei stato travagliato se la morte, crudele ma provvidenziale, non avesse spento definitivamente quella fiamma quand'ormai era languente.
Ebbi la fortuna di godere la familiarità dei principi e dei re, e l'amicizia dei nobili, tanto da esserne invidiato.
L'adolescenza mi illuse, la gioventù mi traviò, ma la vecchiaia mi ha corretto e con l'esperienza mi ha messo bene in testa che era vero quel che avevo letto tanto tempo prima; che i godimenti dell'adolescenza sono vanità.
Sono stato uno della vostra specie, un povero uomo mortale, di classe sociale né elevata né bassa; di antica famiglia, come dice di se stesso Cesare Augusto; di temperamento per natura né malvagio; né senza scrupoli, se non fosse stato guastato dal contatto abituale con esempi contagiosi.
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