Citazioni di George Orwell
U Po Kyin, un magistrato del sottodipartimento di Kyauktada nella Birmania superiore, stava seduto nella veranda di casa sua. Erano solo le otto e mezzo, ma si era già nel mese di aprile e si sentiva nell'aria come un'oppressione, la minaccia delle lunghe ore soffocanti del meriggio. A tratti, lievi folate di vento che per contrasto sembravano fresche agitavano le orchidee appena annaffiate, pendenti dalla grondaia. Al di là delle orchidee si scorgeva il tronco curvo e polveroso di una palma, e poi il cielo sfolgorante color oltremare. Allo zenith, così in alto che abbagliavano solo a guardarli, alcuni avvoltoi roteavano senza un palpito d'ala.
I comandamenti [tra parentesi le frasi aggiunte successivamente dai maiali per giustificare le loro azioni]. Qualunque cosa cammini su due zampe è un nemico. Qualunque cosa cammini su quattro zampe o abbia le ali è un amico. Nessun animale deve indossare vestiti. Nessun animale deve dormire in un letto. (con le lenzuola) Nessun animale deve bere alcol. (in eccesso) Nessun animale deve uccidere un altro animale. (senza motivo) Tutti gli animali sono uguali. (ma alcuni sono più uguali degli altri)
Nella caserma Lenin di Barcellona, il giorno prima del mio arruolamento fra i miliziani, ne vidi uno, italiano, ritto davanti al tavolo degli ufficiali. Era un giovanotto dall'aspetto rude, sui venticinque o ventisei anni, capelli biondo-rossicci e spalle possenti. Il berretto di cuoio a punta gli calava fieramente su un occhio. Lo vedevo di profilo, il mento sul petto, mentre osservava con un cipiglio di perplessità una carta geografica che uno degli ufficiali aveva dispiegata sulla tavola. Qualcosa, sul suo volto, mi commosse profondamente. Era il volto di un uomo che avrebbe commesso un omicidio, gettato via la propria vita per un amico: il tipo di faccia che aspettereste in un anarchico, anche se con ogni probabilità egli era un comunista.
Parigi, rue du Coq d'Or, le sette del mattino. Una sequela di urla strozzate e furibonde dalla strada. Madame Monce, la padrona dell'alberghetto di fronte al mio, era uscita sul marciapiede per apostrofare una pensionante del terzo piano. Aveva i piedi nudi infilati negli zoccoli e i capelli grigi spioventi.
Il signor Jones, della Fattoria Padronale, serrò a chiave il pollaio per la notte, ma, ubriaco com'era, scordò di chiudere le finestrelle. Nel cerchio di luce della sua lanterna che danzava da una parte all'altra attraversò barcollando il cortile, diede un calcio alla porta retrostante la casa, da un bariletto nel retrocucina spillò un ultimo bicchiere di birra, poi si avviò su, verso il letto, dove la signora Jones già stava russando. Non appena la luce nella stanza da letto si spense, tutta la fattoria fu un brusio, un'agitazione, uno sbatter d'ali. Durante il giorno era corsa voce che il Vecchio Maggiore, il verro Biancocostato premiato a tutte le esposizioni, aveva fatto la notte precedente un sogno strano che desiderava riferire a tutti gli animali. Era stato convenuto che si sarebbero riuniti nel grande granaio, non appena il signor Jones se ne fosse andato sicuramente a dormire. Il Vecchio Maggiore (così era chiamato, benché fosse stato esposto con il nome di Orgoglio di Willingdon) godeva di così alta considerazione nella fattoria che ognuno era pronto a perdere un'ora di sonno per sentire quello che egli aveva da dire.
I commentatori politici o militari, come gli astrologi, sopravvivono a quasi ogni errore poiché i più fedeli seguaci non si rivolgono a loro per una valutazione dei fatti ma per il rinfocolamento della dedizione nazionalistica.
Le creature di fuori guardavano dal maiale all'uomo e dall'uomo al maiale e ancora dal maiale all'uomo, ma già era loro impossibile distinguere fra i due.
L'uomo è l'unica creatura che consuma senza produrre. Egli non dà latte, non fa uova, è troppo debole per tirare l'aratro, non può correre abbastanza velocemente per prendere conigli. E tuttavia è il re di tutti gli animali.
Il segno distintivo dell'uomo è la mano, lo strumento col quale fa tutto ciò che è male.
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