Citazioni di Michele Serra
"Bentornato Antonio", disse il Grande Otorongo. Stavo seduto nell'erba secca, con le spalle appoggiate al nume di pietra e lo sguardo rivolto al vallone. Nonostante fosse la fine di marzo faceva ancora molto freddo, e l'aria turbinante del crinale si infilava ovunque. Tirai fino al collo lo zip della giacca a vento. Adagiai la nuca tra le mani intrecciate e presi a seguire con gli occhi le nuvole filanti. Due poiane in caccia remigavano controvento, sospese nel celeste in attesa di tuffarsi sopra qualche sorcio incauto. "Sei molto pallido", riprese Otorongo. "Sono stato male. Parecchio male." "E sei tornato per guarire?" "Sì. Almeno in teoria. Ho bisogno di restarmene tranquillo per qualche giorno. E mi stavo proprio chiedendo, mentre salivo da te, se ne sono ancora capace."
2002 L'anno dell'euro, di quando, stabilito che i terroristi venivano dall'Arabia Saudita, gli americani decisero di attaccare l'Afghanistan, dello scontro fra civiltà, del processo a Previti, di quando anche in Italia si schiantò un aereo su un grattacielo, dei primi ospiti di Guantanamo, di quando l'arbitro Moreno arbitrò, e la Moratti cominciò a pensare di riformare la scuola, del dibattito nella destra, della Cirami, del gossip, di quando in Val d'Aosta venne ucciso un bambino, di quando rientrarono i Savoia, di quando Padre Pio fu fatto alla svelta santo. E di quando frate Indovino morì semplicemente frate.
[A proposito del commento di Silvio Berlusconi sulla vittoria di Barack Obama] Io credo che sarebbe ora di dire che è semplicemente uno sciocco. Ecco, più che puntare sul, come dire... sull'allarme istituzionale, la repubblica in crisi... Ecco cominciare a dire quello che poi appare abbastanza evidente: che è un uomo abbastanza sciocco e dice spesso cose molto sciocche, e forse è stato sopravvalutato anche dai suoi avversari. Dopo di che le polemiche, insomma, è persino inutile farle. Insomma... si prende atto, si constata, si fa un sorrisetto purtroppo di sufficienza. Ecco perché la cosa triste è che si è costretti a fare un sorrisetto di sufficienza su quanto dice e fa, insomma, il primo degli italiani, escluso il capo dello dello stato, cioè il capo del governo. Piuttosto penoso, ecco... Penoso e sconsolante. Fa il commento più sciocco, non voglio neanche dire che sia una gaffe: è il commento più frivolo, più superficiale, meno colto, meno politico, meno serio. È come... come quando fa le corna nelle fotografie di gruppo, è una persona che non è all'altezza di rappresentare un paese: ma non l'Italia, qualunque paese. E dispiace, insomma, che dire? Cioè, non è neanche una cosa da dire con veemenza, la si dice con... con malinconia profonda a questo punto; però, insomma, non è una novità, dovremmo esserci abituati. Ma ne dirà un'infinità ancora di cose del genere, perché purtroppo il livello è quello: è una persona di basso livello intellettuale. Questa è la mia opinione.
Uno dei nostri vanti è quello di non avere mai creduto che la società civile fosse meglio del Palazzo. A tal proposito, abbiamo fatto anche un titolo non eufemistico: l'uomo della strada è una merda.
Da relativista etico, l'unica certezza che mi sorregge è non volere e non sapere imporre la mia condotta di vita al professor Buttiglione. Lui non può dire altrettanto.
[Circa la spettacolarizzazione della cronaca nera] Il sospetto [...] è che l'angosciosa percezione di un salto di qualità del male e della violenza sia dovuta soprattutto a una assai più diffusa conoscenza di crimini sempre avvenuti, ma solo oggi diventati materia prima quotidiana di un sistema mediatico cresciuto in maniera esponenziale. Ogni frammento di orrore viene ingigantito, ogni urlo di dolore amplificato, su ogni singola variazione attorno all'orrendo tema della violenza dell'uomo sull'uomo vengono allestiti fluviali dibattiti. L'esile scia di sangue che i cantastorie trascinavano per piazze e villaggi è diventata il mare di sangue che esonda dal video: ma è sempre lo stesso sangue, probabilmente anche la stessa dose pro-capite, solo con un rendimento "narrativo" moltiplicato per mille, per un milione, per un miliardo di volte.
Ovunque un "tu" piacione e colloso, un clima da eterna rimpatriata (e si immaginano i ristoranti, i bavaglioli, le risate grasse) e una furbizia greve, da commedia dell'arte: quella stessa che poi vediamo, ripulita dei suoi quadri più inconfessabili, nei peggiori talk-show calcistici, dove "l'amico Moggi" da anni ammannisce a una platea spesso estasiata oscure facezie e sorridenti minacce, una specie di andreottisimo però imbertoldito, un'imitazione popolaresca del Potere che è parodia però senza saperlo. In fondo soprattutto penosa, e penosa non tanto perché rimanda a probabili prepotenze calcistiche, quando perché incarna (altro che calcio...) la vecchia furbizia contadina italiana appena appena camuffata, incravattata di fresco, e riscodellata in video per la gran gioia di chi non vuole fare la fatica di pensarci diversi, noi italiani, da questo stucchevole arrangiarci da subalterni: da servi, altro che da potenti. (Che la furbizia sia caratteristica servile, e mai signorile, è la sola fondamentale scoperta politica che milioni di italiani devono ancora fare).
Tutto all'Inter è in odore di romanzesco, di eccessivamente emotivo, in un clima eccitato e ipercritico che in fondo rassomiglia poco al pragmatismo settentrionale e ha qualche cosa di intimamente meridionale.
Il fenomeno dei giornalisti tifosi è troppo patetico perché io vi ammorbi con la mia opinione sulla controversa Terza Stella della Juventus. Mi limito ad un'osservazione strettamente tecnica. Inoppugnabile. La Juventus ha tutto il diritto di sentirsi vittima di una sentenza sbagliata e cucirsi sulla maglia la terza stella. Ma un secondo dopo la Figc dovrebbe dichiararsi sciolta, perché il suo operato e quello della giustizia sportiva sono ritenuti carta straccia, e giudicati nulli, da una delle società più autorevoli e note del calcio italiano. Terze vie non ce ne sono, persino in un Paese di ipocrisie e di pateracchi. Perché attribuirsi due scudetti revocati per frode sportiva non è solo un gesto di 'orgoglio ritrovato' come pensa abbastanza puerilmente Andrea Agnelli. È a tutti gli effetti, un gesto che sconquassa dalle fondamenta le istituzioni del calcio, le sconfessa, le rifiuta. È un durissimo chiamarsi fuori dal mondo in cui si opera e dalle sue regole. Nella vita, ovviamente, ci si può anche ribellare. Quello che non si può fare è credere che ci si possa ribellare al modico prezzo di qualche titolo di giornale, e cavarsela temperando le polemiche con un paio di interviste diplomatiche.
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Biografia e libri
Michele Serra, romano ma milanese d’adozione, classe 1954, è un giornalista, scrittore, autore televisivo e umorista, con un passato nell’Unità, dove ha iniziato la carriera nel 1975 come dimafonista, e molte collaborazioni importanti con Repubblica, L’Espresso, ma anche con Fabio Fazio e Roberto Saviano, per cui ha scritto, nel 2012, Quello che (non) ho, andato in onda su La7, con altri autori. Il suo ultimo lavoro letterario, Ognuno potrebbe, è uscito nel 2015.